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di Giancarlo Bovina

“Nous vivons touts au fil de l’eau” era il titolo della Giornata mondiale dell’acqua organizzato nel 1999 dal World Meteorological Organization e dalle Nazioni Unite. Sul mare, e lontano da esso, si vive dentro quel flusso perpetuo che lega l’atmosfera, l’idrosfera e la biosfera: il ciclo idrologico. Acqua che evapora dagli oceani e dai continenti, forma nebbie e nubi, torna sulla terra con le precipitazioni, scorre in superficie attraverso i molti modi che la terra propone (ruscelli, torrenti, fiumi), parte s’infiltra ed alimenta le falde e poi torna all’oceano per ricominciare: mentre si muove sostiene la vita di tutti gli organismi animali e vegetali.

E’ ormai innegabile, anche per i meno attenti, che per incremento della popolazione, trasformazione degli stili di vita e di produzione, l’elemento più prezioso del pianeta, il bene fondamentale di tutte le attività umane costituisce la principale emergenza ed il problema ambientale probabilmente prioritario, non solo per i paesi storicamente “aridi”.
Le problematiche possono essere sintetizzate nei seguenti punti:

  • fatiscenza delle opere di captazione e delle reti distributive;
  • inquinamento dei corsi d’acqua e del mare per effetto di sovrappopolamento, sia cronico che legato alle oscillazioni dell’industria turistica;
  • sovrasfruttamento delle falde acquifere oltre la quota rinnovabile, sino alla compromissione delle riserve strategiche, ossia quella parte di acqua sotterranea che andrebbe utilizzata con la massima attenzione solo in situazioni di estrema gravità;
  • inquinamento delle falde, in particolare nelle aree costiere;
  • ingressione di acqua di mare (intrusione salina) per effetto dell’eccessivo pompaggio dei pozzi per acqua.

Quasi ovunque, ma non è certamente un fatto solo mediterraneo, si è reciso il rapporto uomo-acqua. L’acqua è costretta in ambiti non suoi, viene consumata inutilmente, è avvelenata e, trasformando e “sterilizzando” continuamente gli ambienti naturali per finalità economiche, le viene negata la funzione, per noi fondamentale e quindi irrinunciabile, di sostenere la vita animale e vegetale. Inondazioni, mareggiate devastatrici, frane ecc. sono il rovescio della medaglia, e non sempre agenti per cause naturali, così come per l’inquinamento che spesso assume dimensioni disastrose.

Ritrovare il rapporto significa riscoprire e riapplicare, alla luce delle attuali conoscenze e tecnologie, quelle tecniche di gestione delle acque che, al contrario di quel che sembra, erano basate su un contenuto di conoscenza e di esperienza che oggi dovrebbe fare arrossire tecnici e scienziati ed impallidire i pianificatori ed i decisori: si parla della riscoperta delle tecniche antiche nella raccolta delle acque, nello stoccaggio e nella distribuzione di cui è un esempio mirabile il modello dell’oasi.

Se il lavoro sapiente e responsabile dell’uomo riesce a creare condizioni di vita nel deserto, questo approccio può essere studiato e preso come riferimento nel tentativo di recuperare ed aggiornare le conoscenze tradizionali per la lotta alla desertificazione ed applicarle con successo oggi, dove siano possibili inversioni di tendenza e mutamento dell’approccio nell’impiego delle risorse.

Le condizioni ambientali di un’area deserta sono schematizzabili nella scarsità o assenza di piogge, nella mancanza di suolo e copertura vegetale; questi tre fattori uniti alla forte esposizione e alla radiazione solare si oppongono all’instaurarsi di condizioni favorevoli alla vita in una spirale critica senza uscita. In questo contesto solo microambienti e condizioni di nicchia riescono a spezzare naturalmente la spirale negativa. Ed è proprio attraverso analoghi meccanismi, seppur a scala diversa, che si basa l’effetto oasi: l’instaurazione di un circuito virtuoso capace di autopropulsione ed autorigenerazione. Tramite questo processo si formano nel deserto le oasi, isole di fertilità che possiamo definire come “un insediamento umano in situazioni geografiche inclementi che utilizza risorse rare, localmente disponibili, per innescare un’amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile ed auto-sostenibile le cui caratteristiche contrastano con l’intorno sfavorevole”.

In questo viaggio, ed in tutte le riflessioni di Marevivo sui problemi dell’acqua, compagno di viaggio è stato un libro affascinante, l’ “Atlante d’Acqua”, di Pietro Laureano, di recente pubblicazione. L’autore scrive che in contrapposizione al modello attuale di sviluppo “che necessita di un continuo apporto di energie esterne per rinviare una catastrofe che, con il passare del tempo, sarà di proporzioni sempre più terribili. E’ la condizione attuale della valle del Nilo, dei grandi agglomerati urbani della Palestina e di tante altre zone del Mediterraneo e dell’Arabia che hanno ritmi di crescita sempre più accelerati, sostenuti da grandi dighe, dallo sfruttamento completo delle falde profonde, da costosi impianti di desalinizzazione o dal ricorso a megaprogetti per sfruttare risorse sempre più lontane”, esiste un secondo modello “quello dell’oasi che, nel collasso delle grandi organizzazioni territoriali, ha permesso il perpetuarsi della vita e della società umana, ha tramandato la sapienza collettiva e le regole di coesistenza indispensabili alla sopravvivenza: la capacità di intervenire in sintonia con l’ambiente, esaltandone le potenzialità senza esaurirle. Il metodo applicato è quello di ribaltare le condizioni svantaggiose in risorse rinnovabili così che i luoghi di maggiore rudezza e difficoltà ambientale divengano anche quelli di più grande armonia ed organizzazione ecologica. Questa stessa logica può essere applicata in condizioni dove l’apparente ritardo rispetto alla modernità può essere proposto come il vantaggio di condizioni paesistiche ed insediative arcaiche intatte, un valore per il futuro. Le paleotecnologie unite a nuove tecniche appropriate attuerebbero così un vero recupero culturale: la salvaguardia delle vestigia passate e la loro rivitalizzazione come fonti di progresso e di insegnamento per la salvezza del pianeta Terra, oasi nel cosmo”.