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a cura di Apogeo Ambiente

“Numerosa sarà la tua discendenza, come i granelli di sabbia e le stelle del cielo”, dice la Bibbia (Genesi, 22). I granelli di sabbia sono difficili da contare, non c’è dubbio, ma le stelle nel cielo non sono poi così numerose. Ad occhio, una ventina. Perlomeno, se le osserviamo da una città come Roma, senza l’aiuto di un telescopio. Possiamo enumerarle senza fatica: Sirio, quattro o cinque stelle dell’Orsa Maggiore, qualcosa di Orione, Arturo, Vega, e poco altro.

Dove sono finite le costellazioni? Dove sono le migliaia di stelle che i nostri nonni riuscivano a vedere senza fatica, dov’è la maestosa Via Lattea, il Fiume d’Argento secondo la mitologia cinese, che, secondo le carte celesti, solca il cielo da parte a parte?

Tutto scomparso sotto la coltre di luce diffusa che l’illuminazione artificiale delle città sparge a piene mani verso il cielo. Tutta luce che, invece di illuminare strade e case, si diffonde verso l’alto, senza arrecare nessun vantaggio, ma anzi sprecando energia e oscurando il più spettacolare paesaggio che la natura ci regala, il cielo notturno. Questo è l’inquinamento luminoso.

Per chi naviga in mezzo al mare, l’inquinamento luminoso sembrerebbe non esistere, ma le cose cambiano avvicinandosi alla costa. Durante la navigazione, infatti, il cielo stellato è compagno della navigazione notturna con tutta la sua bellezza e luminosità. Ma non appena ci si avvicina alla costa, prevalentemente in Italia, le fonti luminose terrestri sembravano rubare alla notte il buio.

Il problema della luce diffusa verso il cielo è cominciato a farsi sentire da una decina di anni, quando gli astronomi, anche da osservatori costruiti in siti remoti, hanno notato che il loro bel cielo notturno non era poi così pulito come una volta. Le luci di città distanti anche decine di chilometri stavano lentamente rendendo il cielo meno buio di anno in anno. Tutti i lampioni stradali, le luci di sicurezza degli impianti industriali, i fari delle discoteche, dei locali all’aperto, dei campi sportivi, delle case private, oltre ad illuminare le superfici sottostanti, emettono anche una certa quantità di luce verso l’alto: l’atmosfera, composta di vari gas e di polveri sottili, diffonde in tutte le direzioni questa luce inutile. Il risultato è particolarmente visibile quando il cielo è un po’ velato da foschia: un riverbero giallo-arancione che rende a volte il cielo notturno una sorta di squallido tendone da circo.

Siamo ormai così abituati a non vedere il cielo stellato che, le rare volte che ci capita in cima ad una montagna o in alto mare o in viaggio in qualche paese poco abitato, rimaniamo senza fiato: migliaia di stelle, la Via Lattea, le costellazioni che sembrano rianimarsi e riappropriarsi della forma che il loro nome suggerisce, il Leone, il gigante Orione, lo Scorpione, il Toro col suo muso appuntito. Ma dobbiamo rassegnarci a perdere tutto questo?

Il problema non è più solo degli astronomi. E’ allo stesso tempo un problema economico e culturale. Economico, perché la luce che illumina il cielo è luce sprecata: un design corretto dell’illuminazione urbana potrebbe facilmente rendere efficiente l’illuminazione, senza sprechi e senza deturpare non solo il cielo ma anche le nostre città, e senza disturbare il sonno e la privacy altrui. Esperienze condotte negli Stati Uniti, ad esempio a Tucson, città di 600.000 abitanti, hanno dimostrato che è possibile risparmiare miliardi di lire sulla bolletta energetica restituendo nel contempo ai cittadini lo spettacolo del cielo notturno. Si stima che solo negli Stati Uniti si sprecano 1.5 miliardi di Euro (3 mila miliardi di lire) all’anno in inquinamento luminoso, e 200 milioni di Euro (400 miliardi di lire) in Italia.

Molte città e regioni italiane stanno seguendo l’esempio di Tucson: la Regione Lombardia e la Regione Veneto e diversi Comuni hanno già approvato leggi che regolamentano l’illuminazione esterna, riducendo sprechi e migliorando l’estetica. I rimedi sono molti: si possono usare lampade al sodio (che riducono il disturbo visivo), schermi che impediscono alla luce di diffondere e abbagliare in direzioni non volute, orari di illuminazione diversificati a seconda dell’uso, intensità regolabili, e tanti altri accorgimenti di buon senso. Una luce troppo intensa, che altera la percezione e crea fitte zone d’ombra, non vuol dire necessariamente più sicurezza, come tutti gli esperti concordano. Venezia, per esempio, possiede un cielo significativamente più buio di città di dimensioni comparabili, e non è certo meno bella o meno sicura, ma solo molto più romantica.

E’ anche un problema culturale, naturalmente. Immaginiamo di vivere in una casa che si affaccia sulle Dolomiti: saremmo contenti se un giorno qualcuno mettesse un cartellone pubblicitario da sei metri per tre, illuminato tutta la notte, davanti alla vostra casa? Questo è esattamente quello che avviene col cielo stellato. Un’occasione continua di apprendimento, di ispirazione, di incontro con la magia della natura, un vero e proprio museo all’aria aperta di storia e scienza, viene distrutto per uno spreco di energia che tutti siamo costretti a pagare.

Infine, è stato osservato che diverse specie di animali e piante soffrono la luce artificiale che ormai aggredisce anche ambienti rurali. Tartarughe marine, farfalle notturne, rane e salamandre, gli alberi lungo le strade, lo stesso occhio umano, sono solo alcuni esempi di organismi che subiscono danni documentati dall’illuminazione senza regole.

Non solo è possibile intervenire, non solo conviene anche da un punto di vista strettamente economico, ma occorre anche fare presto. Già ora si stima che più del 50% degli europei e degli statunitensi non vedono più la Via Lattea, e che entro pochi anni tale percentuale potrebbe arrivare a quasi il 100%. Moltissimi giovani non l’hanno mai vista, così come non hanno mai visto la maggior parte delle costellazioni. Il cielo buio è per molti un’esperienza ignota e perfino gli astronomi hanno sempre più difficoltà a individuare siti adatti a costruire nuovi telescopi (e non sempre si può ovviare spedendo satelliti nello spazio). Osservare il cielo è un diritto di tutti, proprio come ammirare le montagne, e non si dovrebbe permettere che un design irragionevole e costoso e un falso senso di sicurezza ce ne privino.