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di Giancarlo Bovina

Oltre alla cementificazione di circa il 50% dei litorali (certamente la media è fortemente innalzata dall’urbanizzazione ed industrializzazione della costa italiana che nella sua interezza risulta antropizzata, più o meno intensamente, per oltre il 72%), centinaia di chilometri di strade ed una infinità di cave (più in Grecia che in Italia) segnano il paesaggio costiero osservato nel corso della navigazione lungo la rotta di Ulisse.

Se in Italia ha colpito la cementificazione delle coste siciliane interessate (nei tratti osservati) quasi senza soluzione di continuità da insediamenti abitativi in gran parte abusivi, che spesso raggiungono quasi il mare e che oggi sono oggetto di una preoccupante e discussa sanatoria edilizia, in Grecia ad attirare l’attenzione è stata, oltre alle violente “ferite del territorio” legate alla realizzazione di cave, strade ed insediamenti, la presenza di nuclei industriali localizzati spesso addirittura nelle immediate vicinanze delle coste.

A questi fattori d’impatto si aggiungono poi centinaia di ettari di serre (quelli osservati lungo la costa siciliana tra Licata e Porto Empedocle e quelli della costa laziale tra Capo Circeo e la foce del Fiume Garigliano): coltivazioni intensive ad alto impatto per eccesso di consumi irrigui, impiego di prodotti chimici e biochimici, degrado paesaggistico, sterilizzazione ed impermeabilizzazione dei suoli, alterazioni microclimatiche e quant’altro (insomma una sorta di “desertificazione controllata”).

Ma è lungo la costa di Corfù che è stato osservato un fenomeno particolarmente grave. Migliaia di piante di ulivo (Olea europaea) ultracentenarie vengono abbattute ogni anno per alimentare, un commercio di legna da ardere tra le coste dell’isola greca e quelle italiane.