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di Carlo Callori di Vignale

Le numerose isole sparse nel Mediterraneo, ed in particolare quelle del mare Egeo, sono costituite per la maggior parte da rocce carbonatiche costituite quindi prevalentemente da rocce di carbonato di calcio di genesi marina, vale a dire che originariamente si sono formate sui fondali di un antico mare e poi, durante le ere geologiche, sono emerse fino a trasformarsi come le vediamo oggi.

Anche se a prima vista le rocce calcaree possono apparire compatte, inattaccabili ed inalterabili, in realtà sono solubili, cioè possono essere sciolte dalla pioggia che risulta acida per la presenza di anidride carbonica: tale processo chimico è comunemente conosciuto con il termine di carsismo.

L’azione del carsismo, protratta nel corso del tempo geologico (da migliaia a centinaia di migliaia di anni), è in grado di produrre profonde modificazioni della roccia sia sulla superficie terrestre (carsismo epigeo) che nel sottosuolo (carsismo ipogeo). Le grotte cominciano a formarsi quando l’acqua riesce ad infiltrarsi nel sottosuolo attraverso piccole fratture e discontinuità della roccia, dando inizio al lento ma inesorabile meccanismo di corrosione e dissoluzione chimica che porterà alla formazione delle grotte.

Solo in un secondo momento, quando si sono già venute a formare cavità abbastanza grandi, entra in azione anche l’erosione meccanica, esercitata dalle acque che ormai scorrono con una certa velocità trasportando, al loro interno, detriti e frammenti di rocce dotati di grande potere abrasivo.

Le concrezioni che arricchiscono questo splendido mondo sotterraneo sono dovute al lento stillicidio dell’acqua che, goccia dopo goccia, deposita il carbonato di calcio contenuto al suo interno: le forme più comuni e spettacolari sono le stalattiti, cilindriche o coniche pendenti dal soffitto, spesso sottili, a volte lunghe parecchi metri e le stalagmiti, colonne che si innalzano dal pavimento, con forme per lo più tozze che raggiungono anche diverse decine di metri di altezza; quando una stalattite si unisce con una stalagmite si origina una colonna.

In occasione dell’ultima campagna internazionale condotta in Mediterraneo lungo la rotta di Ulisse, gli esperti di Marevivo hanno avuto l’occasione di esplorare alcune cavità affioranti lungo le coste o sottomarine. Lo spettacolo è sempre stato unico anche se, in alcuni casi, la magia è stata annullata dalla presenza di rifiuti incastonati tra gli anfratti rocciosi, che l’uomo getta in mare e che il mare, puntualmente, restituisce al mittente.

Ma l’attenzione di Marevivo si è rivolta in particolar modo alle numerose grotte che costellano le coste greche ed in particolare a quelle presenti sull’isola di Creta che permettono di raccontare di riti di iniziazione e di ritrovamenti di elefanti, cervi e ippopotami fossili risalenti al Quaternario. Immaginiamo, con mente logica e troppo razionale dell’uomo moderno, cosa poteva suscitare nell’antichità entrare, alla luce tremolante di una torcia fumosa, dentro una di queste caverne, inciampare su un lungo dente di elefante o sul teschio di un ippopotamo, animali sconosciuti, animali sacri come il Minotauro. Si trattava certo di una prova, l’iniziazione, per superare le paure del buio e dell’ignoto , per diventare adulti.

A Creta una leggenda parla del “latte della terra” che veniva bevuto dalle donne per propiziare la fertilità. Lo attingevano nelle grotte, stillato dalle stalattiti o raccolto nelle piccole vasche di calcite concrezionaria. Gli esperti di Marevivo, dopo aver perlustrato numerose delle oltre 50 grotte di Creta, nella grotta di Melidoni, una grande cavità alta più di 30 metri, piena di enormi stalattiti quasi tutte amputate, con al centro un sacrario in cui sono state raccolte le ossa di abitanti cretesi barbaramente uccisi in questo luogo dagli invasori turchi, scrutando con la luce delle torce gli anfratti nascosti e bui delle cavità adiacenti sono riusciti a trovare il latte della terra: da una piccola stalattite appesa alla roccia calcarea stilla, goccia a goccia, l’acqua della terra che, percolando su una minuscola stalagmite in costruzione, si trasforma in latte opalescente. Con la luce delle lampade si accende di splendidi riflessi: la madre terra disseta e nutre e fa tornare a vivere attraverso i millenni.

Aldilà degli aspetti magici e misteriosi, il mondo sotterraneo è uno dei più importanti laboratori naturali per la ricerca scientifica, utile a diverse discipline:

  • Archeologia. Le grotte sono state fino a poche migliaia di anni fa l’abitazione, il cimitero, il tempio e la miniera dei nostri antenati e sono quindi un archivio unico dove ritrovare la storia del nostro passato.
  • Biologia. Il particolare ambiente delle grotte crea un ecosistema unico dove i biologi possono studiare l’evoluzione delle specie, soprattutto quei microrganismi il cui ciclo biologico è legato alla presenza dello zolfo e del metano. Quest’ultimo fenomeno è molto diffuso in diverse grotte italiane, specialmente in quella di Palinuro.
  • Geofisica. La schermatura prodotta dall’ammasso roccioso delle grotte annulla il rumore di fondo esistente sulla superficie e questo permette di condurre particolari ricerche realizzabili solo nel sottosuolo.
  • Ingegneria. Gli ingegneri studiano l’assetto strutturale delle grandi cavità ipogee per poter progettare e realizzare camere sotterranee artificiali da utilizzare per laboratori, centri strategici militari, luoghi di stoccaggio di materiali particolari.
  • Medicina. La ricerca di sostanze medicali all’interno delle grotte risale fin dai tempi preistorici; se questi rimedi erano per lo più legati alla magia che alla scienza medica, attualmente si stanno studiando i microrganismi per la produzione di nuovi farmaci. In mezzo a questo esiste la pratica millenaria delle cure in grotta, soprattutto quelle termali, per l’artrite, l’artrosi e le affezioni delle vie respiratorie.
  • Geologia. E’ la scienza che più utilizza, nelle sue molteplici discipline, l’ambiente sotterraneo: la stratigrafia e l’assetto strutturale delle rocce, i sedimenti deposti dai fiumi sotterranei, i minerali, la geomorfologia, la ricostruzione paleoambientale e climatica. Ma è soprattutto l’idrogeologia la disciplina più attenta al mondo sotterraneo ed alle sue acque.

Gli acquiferi carsici
Le grotte di origine carsica rappresentano una parte dei complessi reticoli sotterranei attraverso i quali una parte dell’acqua proveniente dalle aree di ricarica ritorna in superficie, sgorgando dalle sorgenti.
L’acqua immagazzinata nelle rocce carbonatiche (acquifero carsico) rappresenta nel mondo oltre il 30% della riserva idropotabile disponibile. E’ previsto che nei prossimi decenni questa percentuale passi all’80% a causa del progressivo ed irreversibile depauperamento delle altre fonti di approvvigionamento. In Italia un esempio è dato dalla falda contenuta nella pianura padana il cui attingimento dovrà essere abbandonato per inquinamento e sovrasfruttamento, a favore delle sorgenti carsiche che scaturiscono ai piedi delle Alpi. Alcuni numeri, seppur approssimati, possono sottolineare l’importanza strategica di questa idrorisorsa. In Italia le rocce carbonatiche coprono il 15% del territorio, pari a circa 45.000 kmq; questo si traduce in un volume globale stimato in 45 km cubici di acqua disponibile, solo in minima parte utilizzato per il consumo umano.

Per l’elevata fratturazione della roccia, i tempi di percorrenza della goccia di pioggia, che dalla superficie raggiunge il serbatoio sotterraneo, vanno da poche ore ad alcuni giorni. Questa particolarità idraulica si traduce in un’estrema vulnerabilità all’inquinamento del sistema carsico; non è raro infatti ritrovare all’interno degli inghiottitoi, vie preferenziali di percorrenza dell’acqua, accumuli di rifiuti che l’uomo consapevolmente scarica senza rendersi conto del danno, a volte irreversibile, che produce sulla qualità dell’acqua. Le prospezioni speleologiche riportano ritrovamenti, anche a notevole distanza dal punto di scarico, di residui organici e plastici; per non parlare di tutti quei prodotti chimici tossici usati in agricoltura e nell’industria, sversati sul terreno e di cui l’acqua si arricchisce nel suo percorso verso le falde sotterranee.

La tutela qualitativa e quantitativa di questa importante risorsa è finalmente regolamentata da leggi nazionali di recente stesura (legge Galli n.36/1994; Dlgs. n.152/1999). Pur con tempi burocratici ed applicativi estremamente lunghi, dovuti all’estrema complessità della materia, dovrebbe essere finalmente possibile pianificare, in modo univoco, una corretta gestione dell’acqua, preservando tutti gli ecosistemi ad essa legati e garantendo una qualità della vita accettabile per le generazioni future.