A distanza di poche settimane una nuova moria di pesci nel Tevere.
Si tratta di eventi molto gravi che si verificano dopo le piogge che seguono ad un periodo più o meno lungo di siccità.
Le acque piovane spingono nel fiume acque “malsane più o meno stagnanti”, prive di ossigeno e magari contaminate da sostanze tossiche di varia natura, presenti nei fossi affluenti o nelle linee fognarie.
Le conseguenze sono immediate per i pesci che si ritrovano in acque prive di ossigeno in prossimità degli affluenti, che muoiono con segni di anossia, e che sono visibili per giorni, trasportati verso il mare dalla corrente.
Ma ci sono conseguenze, anche per tutta la comunità ittica che popola il fiume nei tratti a valle, si vedono grandi carpe e siluri che nuotano senza direzione cercando acque migliori.
Addirittura i pesci che sono trasportati stressati verso la foce finiscono in mare, dove spesso si trovano carcasse maleodoranti per giorni.
Quelle acque, che trasportano pesci morti, sono un insulto anche per la fascia costiera, per la biodiversità marina, per le acque in cui ci bagniamo ed in cui peschiamo organismi freschi, orgoglio delle nostre tavole da lunga tradizione.
Dalla osservazioni delle specie morte si può ipotizzare a che altezza del corso fluviale è iniziata la moria.
In queste ultime due morie del 2020, oltre a breme, siluri, carassi e cavedani morti, si sono osservate enormi quantità di carpe fortemente stressate, non necessariamente destinate a riprendersi.
Tutto questo richiede una attenta valutazione da parte delle Autorità competenti che dovrebbero raccogliere il massimo di informazioni sulle morie.
E’ necessario conoscere i punti critici del bacino, sapere se le acque responsabili delle morie provengono sempre dagli stessi affluenti, la cui qualità andrebbe monitorata prima delle piogge, soprattutto per quanto riguarda la presenza di sostanze tossiche per la vita acquatica.
Ciò premesso non è concepibile che queste consistenti morie non siano considerate con attenzione da tutti noi trattandosi di indicatori di veri fallimenti istituzionali.
E’ chiaro che si tratta di temi complessi che coinvolgono grandi spazi ed in momenti non necessariamente prevedibili, ma è anche vero che sarebbe necessario aprire un dibattito politico, scientifico e sociale su queste catastrofi ambientali ogni volta che si verificano.
Le morie ittiche, e non solo, ci fanno ricordare quanto insufficiente sia la politica di conservazione del fiume, quanto quelle acque malsane destinate alla agricoltura ed a tutte le altre utenze siano la misura della insostenibilità reale contro ogni slogan rassicurante. Il tutto contro ogni logica europea ed ogni recepimento delle direttive comunitarie che di fatto mirano a considerare che le acque sono da bere, sono per coltivare, e che lo stato degli organismi che popolano gli ecosistemi acquatici è la misura dello stato di salute di questi ambienti.
E’ necessario lanciare un allarme su questo tema che mette in crisi la credibilità di molte delle politiche ambientali e gestionali della biodiversità acquatica.
Non si tratta di scaricare colpe o dare lezioni a qualcuno, ma solo di piegarsi alla evidenza di un disastro complessivo di cui i pesci morti, spesso specie introdotte non autoctone, sono solo dei testimoni visibili di acque che, in alcune fasi, sono incompatibili con la vita.
Sarebbe necessario dar vita ad un osservatorio sulle morie, ed una serie di ricerche per capire le cause e le dinamiche di questi eventi, anche in direzione di misure specifiche per prevenire queste crisi.
Stefano Cataudella
Già Professore Ordinario di Ecologia
Già presidente della (CGPM) Commissione Generale della Pesca del Mediterraneo e Mar Nero (FAO)