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di Massimo D’Adamo

Sarà per quell’aria da “vecchiette”, per quelle profonde rughe che ci ricordano le loro lontane origini, per quegli occhi che lacrimano fuori dall’acqua, per quello strano guscio che le protegge o per quei misteriosi viaggi che intraprendono, ma le tartarughe, da sempre, ispirano un profondo sentimento di simpatia in chi le osserva.

Nel divertente film “Turtle Diary”, tratto dall’omonimo romanzo di Russell Hoban, diretto nel 1985da John Irvin, uscito in Italia con il titolo “Tartaruga ti amerò”, si racconta di una coppia di appassionati attivi ecologisti (impersonati dagli attori Glenda Jackson e Ben Kingsley) che decidono di rapire una bellissima tartaruga verde, prigioniera in un acquario, per liberarla in mare.
Quante volte, osservando delle tartarughe prigioniere di anguste vasche di acquari, abbiamo sognato di fare la stessa cosa!
Teoricamente dal 1977, almeno in Italia, catturare o detenere tartarughe è vietato e sono sempre di meno i turisti che ritornano da viaggi tropicali con in mano un carapace di tartaruga. Questo perché puntualmente i grossi scudi vengono sequestrati all’aeroporto. Infatti, è vietato anche il commercio di parti morte di questi animali. Ma, di fatto, il mercato illegale di tartarughe continua. Il nostro Paese è ancora oggi il terzo importatore, dopo Francia e Inghilterra, di derivati di tartaruga.
Ancora si trovano in vendita bracciali, anelli, orecchini, scatole, montature per occhiali, pettini e fermagli di tartaruga, ancora si vendono zuppe in scatola, borse e accessori in pelle. Eppure basterebbe applicare la legge per bloccare un assurdo commercio che rischia di far scomparire per sempre gli affascinanti rettili del mare!
Anche se negli ultimi anni la situazione è parzialmente migliorata, grazie ad un’accresciuta sensibilità ambientale dei consumatori e ad una più efficace politica conservazionistica, le tartarughe marine sono ancora animali a rischio a causa della presenza predatoria dell’uomo che ne fa un lucroso commercio. Le uova deposte vengono trafugate e le madri catturate prima che riescano a raggiungere il mare. Inoltre la scomparsa di molte spiagge, a causa dello sviluppo selvaggio dell’edilizia e del turismo, ha privato questi rettili dei luoghi per la deposizione delle uova.

LA STORIA DI CHELONE
Il nome di uno dei più antichi ordini di Rettili attualmente viventi, quello dei Cheloni, deriva dal mitico mondo delle divinità dell’Olimpo.
Ermes, durante le nozze di Era e Zeus, aveva invitato ad assistere alla cerimonia non solo gli dei ma anche tutti gli esseri umani e gli animali.
Una ninfa, di nome Chelone, per disprezzo, non vi partecipò e rimase nella sua casa in riva ad un fiume. Ermes, accortosi della sua assenza, infuriato, gettò Chelone con la sua casa, nell’acqua. Fu così che Chelone si trasformò in una tartaruga, inseparabile dalla sua dimora come lei.

STORIA NATURALE
Resti fossili, databili a più di 200 milioni di anni fa, ci raccontano la storia dei primi cheloni, da cui sono derivate le attuali specie di tartarughe. Sono principalmente fossili di animali terrestri. Solo nel Giurassico, circa 170 milioni di anni fa, comparvero le prime forme marine, che conquistarono con numerose specie gli oceani. Attualmente sono diffuse con la più ampia famiglia dei Chelonidi da una parte e l’unico rappresentante di quella dei Dermochelidi, la tartaruga liuto, dall’altra.
Le tartarughe sono riuscite così ad occupare in tutti gli oceani uno spazio ecologico importante. Hanno sviluppato arti anteriori e posteriori a forma di remo, adatti al nuoto, il carapace ha acquisito un aspetto sempre più idrodinamico e il collo ha perso la capacità di essere completamente retratto.
Le tartarughe – con questo nome si indicano le specie marine, mentre con il nome di testuggini si indicano tutte le forme terrestri o dulciacquicole – sono ottime nuotatrici, trascorrono tutta la loro vita in acqua e solo le femmine, nel periodo della deposizione delle uova, si portano a terra. Sono essenzialmente animali di acque calde ma alcune specie frequentano anche acque fredde.
Tutte le tartarughe frequentano territori trofici (dove si alimentano) e compiono regolari migrazioni per recarsi nelle zone di riproduzione.
I maschi non escono mai dall’acqua, mentre le femmine depongono un gran numero di uova (da 80 a più di 200 a seconda delle specie), bianche e dal guscio morbido, nella sabbia delle spiagge. Le uova che la femmina depone sono state fecondate nella stagione precedente o anche due anni prima. L’ovodeposizione avviene in diverse fasi (da 2 a 6 volte per stagione e a intervalli di 7-15 giorni) e spesso su tratti differenti di litorale. La femmina servendosi degli arti scava una buca profonda da 10 a 60 centimetri e, dopo aver deposto le uova, la richiude con la sabbia; infine, come per nascondere ogni traccia del nido, spiana il punto in cui ha scavato.
Quando vanno a deporre le uova, le tartarughe lasciano nella sabbia una traccia simile a quella di un piccolo trattore cingolato e questo fa si che il nido venga facilmente identificato dagli umani con conseguenze spesso drammatiche.
Dopo aver deposto le uova la femmina ritorna in acqua dove è subito corteggiata dai maschi. Gli accoppiamenti avvengono in acqua: il maschio si porta sul dorso della femmina e si aggrappa saldamente alla sua corazza, utilizzando le unghie ad uncino degli arti anteriori, poi ripiega la coda e mette in contatto la sua cloaca con quella della femmina. La copula può durare diversi giorni e la fecondazione diversi anni.
La durata dell’incubazione varia a seconda della specie, della posizione del nido e dell’andamento stagionale e richiede da 30 a oltre 70 giorni.
I piccoli entrano nell’acqua appena nati, dopo un breve tragitto sulla spiaggia che spesso si rivela pieno di insidie a causa di numerosi predatori.

Ma quante sono e quali sono le tartarughe oggi nel Mondo, e quali e quante nel Mediterraneo?

CLASSIFICARE LE TARTARUGHE
Le attuali tartarughe appartengono tutte all’ordine dei Cheloni (12 famiglie, 90 generi e 260 specie). Tra queste, le due famiglie di tartarughe marine sono costituite dai Dermochelidi (1 genere e 1 specie) e dai Chelonidi (5 generi e 7 specie).
Ecco tutte le specie in cui vengono attualmente classificate le tartarughe marine:
Famiglia Dermochelydae (una specie):
Dermochelys coriacea tartaruga liuto o dermochelide coriacea
Famiglia Cheloniidae (sette specie):
Chelonia mydas tartaruga verde o tartaruga franca
Chelonia agassizii tartaruga verde di Agassiz
Eretmochelys imbricata tartaruga embricata
Lepidochelys kempii tartaruga di Kemp
Lepidochelys olivacea tartaruga olivastra o tartaruga bastarda
Natator depressus tartaruga a dorso piatto
Caretta caretta tartaruga comune

IDENTIFICARE LE TARTARUGHE
Le tartarughe sono difficilmente identificabili in mare, mentre l’osservazione diretta sulle spiagge non presenta difficoltà.
Per identificarle bisogna osservare il carapace (il numero delle lamine costali e delle inframarginali) o la testa (il numero delle squame prefrontali e delle postorbitali) (vedi disegno).
Delle otto specie di tartarughe marine solo tre sono presenti nel Mediterraneo (la tartaruga comune, la tartaruga verde e la tartaruga liuto). Sono noti inoltre avvistamenti di altre due specie, come la tartaruga embricata e la tartaruga di Kemp, ma si tratta di presenze occasionali.
La specie più comune dei nostri mari è la tartaruga comune (Caretta caretta) che frequenta, a scopo riproduttivo, soprattutto il settore sud orientale del Mediterraneo.

TARTARUGA LIUTO (Dermochelys coriacea)

La tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), con 192 cm di lunghezza del solo carapace e il peso eccezionale di 500-800 kg, è l’indiscusso gigante dell’ordine Cheloni, più grande persino delle gigantesche testuggini terrestri delle Galapagos.

Fu segnalata la prima volta nel 1554 da Guillaume Rondelet.

Al contrario delle altre specie di tartarughe marine, la tartaruga liuto vive in mare aperto e si avvicina alle coste solo per nidificare o per cacciare. Si spinge spesso in acque molto profonde e preda una varietà di pesci ed invertebrati tra cui anche una velenosa medusa: la caravella portoghese (Physalia physalis)

Inconfondibile il guscio: formato da minute placche ossee impiantate come tessere di un mosaico nella durissima pelle simile a cuoio, e ornato di robuste carene longitudinali.

E’ diffusa nell’Atlantico (comprese le acque artiche), nel Pacifico e nell’Oceano Indiano. Nel Mediterraneo le spiagge scelte per la nidificazione sembrano essere quelle nordafricane, in passato venivano scelte anche delle spiagge siciliane.

E’ una specie in pericolo, soprattutto nella regione indo-pacifica. Si conoscono 28 siti principali di deposizione delle uova.

Protetta integralmente, figura nell’Appendice II della Convenzione di Berna.

TARTARUGA VERDE (Chelonia mydas)

Al contrario della tartaruga liuto, le specie appartenenti alla famiglia dei Chelonidi hanno la corazza formata da placche scheletriche ricoperte da lamine poligonali cornee. Le zampe anteriori, inoltre, conservano due unghie.

La tartaruga verde o tartaruga franca (Chelonia mydas), raggiunge circa 140 cm di lunghezza. Considerata da secoli un cibo prelibato, è stata quella più ampiamente studiata, ma anche spietatamente cacciata dall’uomo per la gustosità delle carni.

Predilige le acque poco profonde e ha una dieta prevalentemente erbivora.

E’ riconoscibile dal numero di lamine costali del carapace (quattro) e dalla presenza di un paio di squame prefrontali e quattro postorbitali.

E’ diffusa nel Pacifico, nell’Oceano Indiano, nell’Atlantico, nel Mar Nero e nel Mediterraneo. Si trova raramente nei mari italiani, mentre è più comune lungo le coste nordafricane occidentali.

Iscritta nell’Appendice I della CITES.

TARTARUGA VERDE DI AGASSIZ (Chelonia agassizii)

La tartaruga verde di Agassiz (Chelonia agassizii) raggiunge 117 cm di lunghezza. Da alcuni autori viene classificata come una sottospecie di Chelonia mydas

Ha un carapace molto scuro, ed ha un’alimentazione erbivora.

E’ presente lungo la costa ovest del Nord e del Sud America e depone le uova dall’Ecuador alla California meridionale.

Sulle coste del Messico depongono le uova 5000 femmine.

E’ una specie in pericolo, iscritta nell’appendice I della CITES.

TARTARUGA EMBRICATA (Eretmochelys imbricata)

La tartaruga embricata (Eretmochelys imbricata), ambìto trofeo di “caccia”, da cui vengono purtroppo ancora ricavati oggetti e monili di “tartaruga”. Raggiunge 95 cm di lunghezza e 55 kg di peso.

E’ caratterizzata, almeno nella fase giovanile, dalla sovrapposizione delle lamine cornee del carapace e dal becco appuntito e uncinato. Possiede inoltre 2 paia di squame prefrontali.

Vive su fondali soffici e sabbiosi, poco ricchi di vegetazione. Si nutre di piante, ricci di mare e meduse. Con la tartaruga di Kemp, è una delle specie più in pericolo. Le più importanti spiagge per la deposizione delle uova (Seicelle) ospitano solo 600 femmine.

Nelle acque europee è estremamente rara, frequenta le zone tropicali dell’Atlantico, del Pacifico e dell’Oceano Indiano.

E’ iscritta nell’Appendice I della CITES e nell’Appendice II della Convenzione di Berna.

TARTARUGA OLIVASTRA (Lepidochelys olivacea)

La tartaruga olivastra o tartaruga bastarda (Lepidochelys olivacea) ha una distribuzione estesa a tutti gli oceani del mondo, salvo l’Oceano Atlantico settentrionale. Raggiunge 75 cm di lunghezza ed è caratterizzata da 5 lamine costali sul carapace e 4 inframarginali sul piastrone dotate di pori. Tra il 1978 e il 1981 sono state catturate ogni anno in Ecuador 80.000 tartarughe.

Iscritta nell’appendice I della CITES.

TARTARUGA DI KEMP (Lepidochelys kempii)

La tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii) ha una piccola testa triangolare, una lunghezza massima di 75 cm ed è caratterizzata da 6-9 lamine costali sul carapace e 4 inframarginali sul piastrone, dotate di pori. E’ una specie carnivora e si nutre principalmente di granchi.

La tartaruga di Kemp è presente nell’Atlantico settentrionale, nel golfo del Messico e migra fino a Terranova e alle coste europee.

E’ la specie più in pericolo tra le tartarughe marine: nel 1947 le femmine riproduttrici erano 40.000, nel 1981 erano solo 227.

Iscritta nell’appendice I della CITES.

TARTARUGA A DORSO PIATTO (Natator depressus)

La tartaruga a dorso piatto (Natator depressus) è limitata alle coste settentrionale ed occidentali dell’Australia. Raggiunge 97 cm di lunghezza e il peso di 70 kg.

Il carapace è liscio, piatto e di forma ellittica, possiede 4 lamine costali e 3 squame postorbitali.

La specie è molto minacciata ed iscritta nell’appendice I della CITES.

TARTARUGA COMUNE (Caretta caretta)

La tartaruga comune o caretta (Caretta caretta) è la più nota tartaruga del Mediterraneo.

La lunghezza può variare da 70 a 115 cm, il peso da 70 a 200 chilogrammi.

Possiede sul carapace 5 lamine costali e 2 paia di squame postorbitali, il piastrone ha 3 scudi sprovvisti di pori.

Si nutre di crostacei, gasteropodi, echinodermi, pesci, ma anche di meduse urticanti.

E’ una specie considerata vulnerabile, iscritta nell’Appendice I della CITES.

Data la predazione cui vengono sottoposte le uova e gli adulti, le popolazioni atlantiche sono fortemente compromesse. Le cause della rarefazione nel Mediterraneo sono: la scomparsa dei luoghi adatti alla nidificazione, l’aumento dei fenomeni di inquinamento e gli incidenti causati dalle reti a strascico e dagli altri sistemi di pesca.

In Italia questa specie nidifica a Lampedusa e in Calabria, lungo la costa ionica.

Nell’Adriatico, nel 1994, si schiusero 128 uova sulle spiagge di Otranto.

MIGRARE E NIDIFICARE
La vita delle tartarughe marine è pressoché interamente pelagica: questi antichi rettili si spingono sulla terraferma solo per la nidificazione.
I viaggi che le tartarughe compiono dalle zone in cui si alimentano a quelle destinate alla deposizione delle uova sono delle vere migrazioni. Talvolta sono spostamenti notevoli, come nel caso della tartaruga liuto, che percorre durante la sua migrazione transatlantica fino a 5900 chilometri. Ma sono più comuni percorsi di 1000-1500 km, spesso verificati tramite la ricattura di esemplari precedentemente marcati.
Molti studi sono stati compiuti sulla tartaruga verde, ma si conoscono ormai le abitudini riproduttive di altre specie come la tartaruga olivastra e la tartaruga embricata.
Nonostante queste ricerche, restano comunque molti misteri sulle abitudini migratorie delle tartarughe. Ad esempio le tartarughe verdi che vivono nelle acque del Brasile, riescono a trovare la piccolissima isola di Ascension, nelle cui acque si accoppiano e sulle cui spiagge depongono le uova. Dal Brasile l’isola dista 2200 km: per loro un minuscolo “bersaglio” nell’Atlantico centrale. Un errore porterebbe le tartarughe fino in Africa, dove, però, non sono mai state osservate. Senza una vista sufficientemente acuta per orientarsi con le stelle, le tartarughe possono orientarsi con il sole, e, soprattutto, con “l’odore” dell’isola, sospinto dalle correnti da oriente a occidente.
Queste stesse correnti porteranno poi, in poche settimane, i piccoli, nati sull’isola di Ascension, nelle acque brasiliane. Ciò nonostante, nessuna tartaruga di meno di un anno è mai stata trovata né in Brasile né altrove. Dove vadano queste piccole tartarughe resta un mistero.

LE TARTARUGHE IN ITALIA
E’ stato calcolato che le tartarughe uccise in Italia nel trentennio 1960-1990 sono state 25.000. La popolazione delle tartarughe che ancora nidifica sulle spiagge italiane è molto scarsa, come, del resto, sono scarse le spiagge idonee alla nidificazione.
I piccoli, appena nati, inoltre, a causa delle luci artificiali, vengono attirati in altre direzioni e non riescono spesso a raggiungere il mare.
Una spiaggia famosa dove ancora nidificano le tartarughe è a Lampedusa, di fronte all’isola dei Conigli. Un altro sito si trova in Calabria, lungo la costa ionica. A Lampedusa ogni anno si susseguono vari campi di lavoro per la protezione di questo importante sito di nidificazione.
Altri zone protette per la deposizione delle uova della Caretta caretta nel Mediterraneo, si trovano in Tunisia, in Grecia e in Turchia.
Nel Mediterraneo è da alcuni anni operante un progetto di studio e protezione delle tartarughe marine, patrocinato dall’IUCN e sostenuto dal WWF.
Il progetto si prefigge di salvaguardare la vita di questi rari rettili attraverso una serie di interventi:
– la sorveglianza sulla pesca illegale;
– il rilascio di esemplari mantenuti illegalmente in cattività;
– il recupero di animali imprigionati nelle reti, spiaggiati o feriti;
– la marcatura di esemplari finalizzata a studi di biologia ed ecologia;
– lo studio di tutte le colonie riproduttive ancora esistenti;
– la sorveglianza dei siti di nidificazione.
Speriamo che la crescente sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi ambientali e sull’importanza e la conservazione della biodiversità, renda meno incerto il futuro delle tartarughe.
Speriamo di poterci ancora meravigliare dei loro affascinanti e misteriosi comportamenti.
E speriamo, soprattutto, di continuare ad amarle vive.

Le tartarughe sono protette da due importanti convenzioni internazionali: quelle di Washington e di Berna.

La CITES (Convention On The International Trade Of Endangered Species) è la sigla della convenzione di Washington del 3 marzo 1973: un trattato internazionale che consente la protezione delle specie selvatiche attraverso il controllo del loro commercio.

La Convenzione di Berna è una convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, adottata a Berna il 19 settembre 1979.

PICCOLO GLOSSARIO

GENERE E SPECIE

La nomenclatura binomia, tramite la quale vengono definite le varie specie viventi è opera di Carl von Linné: un naturalista svedese (1707-1778), noto sui libri italiani con il nome di Carlo Linneo, che nella sua opera “Systema Naturae” diede le basi della classificazione dei viventi

In base alla nomenclatura binomia ogni specie animale e vegetale viene individuata da una coppia di parole, di cui la prima (il nome generico, scritta con l’iniziale maiuscola) è comune a tutte le specie di un medesimo genere, mentre la seconda (il nome specifico, scritta in minuscolo) è propria di ciascuna specie.

Ad esempio la tartaruga olivastra (Lepidochelys olivacea) e la tartaruga di Kemp (Lepidochelys kempii) appartengono allo stesso genere (Lepidochelys) ma a due specie diverse (olivacea e kempii).