Non c’è più tempo. Il Mediterraneo è un mare malato e ha bisogno di cure, adesso. Continua a scaldarsi, acidificarsi, perdere biodiversità e ossigeno, avvelenarsi e soffocare sotto la plastica. Non bastano più parole inerti e dichiarazioni d’intenti. Servono fatti. Servono decisioni che cambiano davvero la traiettoria di un mare che, oggi, è l’epicentro di una tripla crisi: climatica, ecologica e politica.
Nelle conferenze internazionali il linguaggio è sempre levigato, prudente, attento a non scontentare nessuno. Eppure, perfino nella nuova Dichiarazione Ministeriale adottata dalla COP24 della Convenzione di Barcellona al Cairo, nel cinquantesimo anniversario del Programma UNEP/MAP, ritorna una frase che abbiamo ascoltato troppe volte: “la nostra determinazione ad agire”. Una formula impeccabile, certo. Ma il Mediterraneo è un mare che non vive di formule: vive o muore in base alle azioni. E troppo spesso quelle azioni stentano ad arrivare. Marevivo, però, è arrivata al Cairo con qualcosa di diverso: una proposta concreta, strutturale, immediatamente attuabile, che può trasformare il Mediterraneo da mosaico frammentato a ecosistema realmente interconnesso. La campagna internazionale “Stati Uniti per l’Ambiente marino Mediterraneo” chiede infatti la creazione di una rete mediterranea di Aree Marine di Interesse Ambientale Comune e di corridoi ecologici transfrontalieri, fondata su un principio semplice e rivoluzionario: proteggere insieme ciò che è, per sua natura, indivisibile. Il cuore della proposta è uno dei problemi più grandi e più ignorati del Mediterraneo: non conosciamo davvero la sua biodiversità. Non esiste oggi, nemmeno all’interno delle Aree Marine Protette, un inventario completo delle specie. Eppure Marevivo insiste da anni sulla centralità della conoscenza: dal 2019, con la COP21 Med di Napoli, alla campagna internazionale “Only One – One Planet One Ocean One Health” a bordo della Nave Scuola Amerigo Vespucci, fino alla UN Ocean Conference di Nizza nel 2025. Non si può proteggere ciò che non si conosce. Non si può gestire ciò che non si misura.
Le nuove Zone Economiche Esclusive, che stanno ridefinendo la mappa del Mediterraneo, riducono gli spazi di alto mare ma offrono una nuova, rara opportunità: cooperare davvero, costruire Aree Marine Protette transfrontaliere legate fra loro da corridoi ecologici. Una rete che unisca ciò che oggi è spezzato. Che ricostruisca la continuità ecologica indispensabile alla migrazione delle specie, alla resilienza degli ecosistemi, alla loro sopravvivenza.
La campagna proposta da Marevivo non inventa nuove strutture burocratiche, ma collega e rafforza quelle già esistenti, creando una rete di cooperazione che unisce diritto, scienza e tecnologia. Uno sguardo completo, moderno, condiviso su uno dei mari più sotto pressione del pianeta.
Nei mesi a venire, Marevivo intende avviare una serie di passi successivi: dare vita a gruppi giuridico-scientifici, iniziare partenariati nazionali e internazionali, e pianificare le attività di ricerca e catalogazione. Non una visione astratta, ma un progetto concreto, presentato proprio nell’anno in cui la Convenzione di Barcellona celebra i suoi cinquant’anni.
Ecco la differenza: mentre la politica internazionale rischia di ripetere l’ennesima lista di buone intenzioni, Marevivo mette sul tavolo una proposta che può diventare una vera eredità per la governance ambientale mediterranea. Un Mediterraneo interconnesso, studiato, monitorato, protetto: non una serie di tutele isolate, ma un’unica grande architettura ecologica basata sulla conoscenza della biodiversità e degli ecosistemi.
Perché quando il Mediterraneo si ammala, perdiamo tutti. E quando finalmente si decide di curarlo e proteggerlo davvero, a guadagnarci è il futuro di tutti.





