Skip to main content

Dopo quasi 20 anni di trattative e dibattiti, gli Stati Membri delle Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo storico: è stato siglato il primo trattato per la protezione dell’Alto Mare, terra di nessuno spesso utilizzata per la pesca illegale.

Finalmente verranno regolamentate le azioni umane nelle acque internazionali, che cominciano a 370km dalle coste e corrispondono a due terzi degli Oceani (la metà della superficie del Pianeta).

Il trattato “High Seas Treat” dell’ONU è un passo decisivo verso la salvaguardia dei nostri mari, che prevede che il 30% degli Oceani venga considerato “area protetta” entro il 2030, mentre lo sono soltanto per l’1%.

Si tratta di una “vittoria monumentale” come ha dichiarato un’attivista di Greenpeace International che ha partecipato alla maratona negoziale, perché permetterebbe di salvaguardare la vita delle oltre 230 mila specie conosciute che abitano gli Oceani.

I punti principali del trattato prevedono, inoltre, limiti alla pesca e alle rotte marittime e un freno alle attività di esplorazione, come l’estrazione mineraria.

È il terzo Accordo applicativo della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (in vigore dal 1994) che ha l’obiettivo di colmare le lacune e di implementare gli obblighi già previsti da tale Convenzione, così come raccomandato dall’Assemblea Generale ONU con la Risoluzione 72/249 del 24 dicembre 2017.

Dopo la revisione editoriale e la traduzione del testo nelle lingue ufficiali dell’ONU, l’Accordo sarà adottato formalmente e sarà aperto alla firma e alla ratifica degli Stati. Entrerà in vigore solo dopo che 60 Stati lo avranno ratificato.

Cosa si intende per "Alto Mare"?

L’Alto Mare è l’area di mare che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) nazionale – oltre le 200 miglia nautiche dalla costa, se gli Stati hanno dichiarato la EEZ – e occupa circa due terzi dell’oceano. Questa zona fa parte delle acque internazionali, quindi al di fuori delle giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca, per esempio. Allo stesso tempo, l’Alto Mare svolge un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica.

Allo stesso tempo, nessun governo si assume la responsabilità della protezione e della gestione sostenibile delle risorse di Alto Mare, il che rende queste zone vulnerabili. Di conseguenza, alcuni degli ecosistemi più importanti del pianeta sono a rischio, con conseguente perdita di biodiversità e habitat. Secondo le stime, tra il 10% e il 15% delle specie marine è già a rischio estinzione.

Uno degli obiettivi del trattato è invertire il trend di declino della salute dell’oceano e della perdita di biodiversità ed ecosistemi per le generazioni future e per le popolazioni costiere che dipendono dal mare come fonte di cibo e sostentamento, reddito e svago.

Perché questo trattato è così importante?

Circa il 70% dell’oceano è Alto Mare, l’ultima zona selvaggia e non propriamente regolamentata del pianeta. La vita marina che vive in queste zone è a rischio di sfruttamento, estinzione ed è vulnerabile alle crescenti minacce della crisi climatica, della pesca eccessiva e del traffico marittimo.
Poiché gli ecosistemi in Alto Mare sono scarsamente documentati, i ricercatori temono che gli organismi possano estinguersi prima di essere scoperti. Questo impedisce di studiare propriamente i ritmi di perdita di biodiversità del pianeta, sviluppare modelli previsionali sempre più accurati e accedere a nuove opportunità per le industrie farmaceutiche e di cosmesi.

Ad oggi, la gestione delle attività in mare e la tutela della biodiversità marina sono regolate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS), firmata nel 1982 e rettificata da 158 Stati Membri. Questa Convenzione ha dei limiti, soprattutto sulle tematiche che riguardano l’Alto Mare e la tutela della biodiversità.

Il parere degli esperti

Dal 2019 l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali (ISGI) del CNR ha seguito da vicino questo negoziato attraverso la partecipazione di Gemma Andreone, Dirigente di Ricerca di Diritto Internazionale, come membro della Delegazione italiana che dichiara: “Grazie all’introduzione di dettagliate norme in materia di risorse genetiche marine e di valutazione d’impatto ambientale, l’Accordo mira a garantire che le attività antropogeniche nell’alto mare siano condotte in maniera sostenibile e che esse bilancino le necessità di sviluppo economico con la tutela dei fragili ecosistemi marini oltre la giurisdizione nazionale. L’utilizzazione delle risorse genetiche marine reperite in aree di alto mare, che consiste in attività di ricerca e sviluppo relativa alla composizione genetica e/o biochimica di tutti i tipi di alghe, incluse le diatomee, le spugne e tutte le risorse viventi che non siano definibili come risorse di pesca, nonché la Digital Sequence Information su tali risorse e, infine, la biotecnologia, cioè la manipolazione genetica di tali risorse, sono realtà economiche significative in molti paesi industrializzati. Con questo Accordo, queste attività vengono finalmente regolamentate e potranno essere svolte in base ad un sistema di condivisione dei benefici monetari e non monetari da esse derivanti a favore di stati meno sviluppati e meno favoriti dalla geografia.”

Lo studio dei confini del mare è di sempre maggiore attualità nel diritto internazionale, per le tematiche migratorie, energetiche ed ambientali. L’Accordo internazionale sull’Alto Mare (BBNJ Implementing Agreement) raggiunto all’ONU si occupa, tra l’altro e per la prima volta, di risorse genetiche marine e di aree marine protette in alto mare, per la tutela della biodiversità e rappresenta una novità di assoluto rilievo nel panorama giuridico. Per entrare in vigore bisognerà attendere la ratifica di ameno 60 Paesi e confidiamo che l’Italia, la cui delegazione ha lavorato per anni all’accordo, sia tra i primi a sottoscriverlo afferma Pietro Vuolo, referente Marevivo International ed esperto di Diritto Internazionale del Mare.