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Alla Cop15 di Montréal è stato raggiunto un accordo storico sulla biodiversità: l’attuazione del cosiddetto piano “30 by 30”, ovvero l’impegno a proteggere il 30% del Pianeta, a ripristinare il 30% delle aree marine e terrestri degradate e a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, custodi ad oggi dell’80% della biodiversità residua sulla Terra, il tutto entro il 2030.

Il nostro Vicepresidente Ferdinando Boero ne parla in un articolo su “Il Fatto Quotidiano” che riportiamo qui di seguito.

In dieci anni un milione di specie si estinguerà: la biodiversità è in crisi, non c’è più tempo.

Un milione di specie si estinguerà nei prossimi dieci anni, dicono le Nazioni Unite e altre organizzazioni che si occupano di biodiversità. Conosciamo circa due milioni di specie, ma si stima che il pianeta sia abitato da più di otto milioni di specie.

Da zoologo, sono perfettamente d’accordo con questi allarmi e ho stilato lunghe liste di specie che potrebbero non esserci più: estinzioni putative. Se una specie non si trova da diversi decenni possiamo avanzare l’ipotesi che sia estinta. Gli animali di cui mi occupo, gli idrozoi, non sono popolari come i mammiferi, gli uccelli e gli altri vertebrati. Ma la stragrande maggioranza della biodiversità è costituita da animali poco cospicui, ignoti al grande pubblico e, in grandissima parte, anche alla scienza.

L’oceano copre il 71% della superficie del pianeta ma non si tratta di una superficie. Con i suoi 4.000 m di profondità media, l’oceano rappresenta più del 95% dello spazio abitato dalla vita. Gli ecosistemi terrestri sono un’eccezione e sono “vivi” grazie alla presenza dell’acqua oceanica che, con l’evaporazione e la formazione di nubi che portano acqua dolce sulla terraferma, rende possibile la vita anche fuori dall’oceano.

Ora mi metto al posto di uno scettico e faccio l’avvocato del diavolo. Se un negazionista dicesse: OK, si estinguerà un milione di specie nei prossimi anni. Ma se la situazione è così critica, mi fate un elenco di specie che si sono già estinte? Ci sono lunghi elenchi di specie minacciate, specie salvate dall’estinzione, specie a rischio di estinzione. Ma quali sono le specie estinte? Se i candidati all’estinzione sono un milione, possibile che non ne sia estinto neppure uno, o che ci siano sempre i soliti nomi?

Ripeto: io qualche nome lo avrei. Ad esempio Tricylusa singularis, unico rappresentante di un genere e di una famiglia. Non si trovano esemplari di questa specie da più di un secolo. Ne posso citare molte altre, per il gruppo animale di cui sono specialista. Sono certo che ricerche analoghe alle mie potrebbero portare a liste altrettanto lunghe in molti altri gruppi di organismi. “Probabilmente ci turba venire a conoscenza dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi. Alcune specie poco numerose, che di solito passano inosservate, giocano un ruolo critico fondamentale per stabilizzare l’equilibrio di un luogo”. Questa frase ci fa capire come l’attenzione sui vertebrati sia fuorviante: organismi ben più importanti per il funzionamento degli ecosistemi non ricevono altrettanta attenzione.

Sapete chi ha scritto la frase citata qui sopra? Papa Francesconell’enciclica Laudato Si’. Abbiamo riconosciuto l’importanza primaria della biodiversità nel 1992, con la Convenzione di Rio de Janeiro. Poi l’abbiamo reiterata in molte altre Convenzioni e Direttive. L’abbiamo messa nell’Articolo 9 della Costituzione. Ora la COP 15, in Canada, ne ribadisce l’importanza. Non basta? Il decennio 2021-2030 della Nazioni Unite è dedicato agli oceani. Il decennio precedente fu dedicato alla biodiversità.

Nonostante queste continue dichiarazioni di importanza primaria della biodiversità, stiamo continuando come niente fosse. La scienza che scopre le specie sconosciute, le descrive e dà loro un nome è la tassonomia. Si tratta di una disciplina in via di estinzione e si sta attuando il paradosso che, a fronte di un unanime consenso sull’importanza della biodiversità, la tassonomia sia in crisi. Carlos Martinez sta facendo lo sciopero della fame per attirare l’attenzione sull’estinzione della tassonomia.

Da parte mia, denuncio questa situazione da moltissimo tempo. Nessuno ha mai smentito questi allarmi, ma poi nessuno fa niente. E qui torniamo alle priorità. Il declino della tassonomia è dovuto ad una sola causa: mancanza di finanziamenti. Se ci fossero miliardi per esplorare la biodiversità di questo pianeta, e per capire come funzionano gli ecosistemi, gli esperti in queste discipline verrebbero formati anche per un solo motivo: i dipartimenti e gli istituti che li hanno sarebbero in grado di attirare ingenti finanziamenti.

La zoologia studia la biodiversità animale, la botanica quella vegetale, la microbiologia quella microbica. Nei commenti a questo blog sono in molti a usare la parola “zoologo”, con cui mi definisco, per ridicolizzarmi. Se avessi scritto “astrofisico” nessuno si sognerebbe di farlo. Purtroppo la percezione degli esperti di biodiversità permette questi atteggiamenti. Tutti dicono che la biodiversità è il nostro problema numero 1 ma gli esperti di biodiversità sono ridicolizzati, e arrivano a fare lo sciopero della fame per avere attenzione. Avere ragione non basta, bisogna anche farla valere.

I decisori sono sconcertati quando sentono che la tassonomia è in crisi. Ma come? con tutti i fondi che dedichiamo alla biodiversità! Dove vanno a finire? Se vi interessa la risposta, qui la potete trovare. In estrema sintesi: la comunità scientifica che NON studia la composizione della biodiversità si impadronisce di questi fondi e poi studia altro. I bandi per finanziare la ricerca devono essere più specifici, ma spesso sono suggeriti dalla comunità scientifica e se non ci sono più tassonomi saranno altri a suggerire i bandi: un circolo vizioso. Meno tassonomi ci sono, meno saranno quelli che chiedono che si sostenga la tassonomia.