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Tra sentenze e trattati: la battaglia per il futuro del pianeta si gioca anche nel campo del diritto internazionale

Un recente lodo arbitrale dell’ICSID (Centro internazionale per la risoluzione delle controversie relative agli investimenti) attivato tramite il TCE (Trattato europeo sull’energia) riguardante Rockhopper, una società petrolifera britannica, e la Repubblica italiana è una sconfitta per chi teme per il futuro del pianeta e un passo indietro per il diritto internazionale ambientale. I fatti riguardano la revoca a Rockhopper di una concessione per sfruttare un campo petrolifero offshore al largo delle coste abruzzesi. Sulla base del lodo, emesso nel mese di Novembre, Rockhopper aveva tuttavia soddisfatto tutte le condizioni stabilite dalla legge italiana, quindi il rifiuto dello stato di concessione è stata considerata come illegittimo. Senza soffermarsi su questioni giuridiche particolarmente complesse, ci sembra particolarmente rilevante sottolineare che a seguito del lodo, i giudici internazionali hanno assegnato € 185 milioni di risarcimento che arrivano ad oltre € 240 milioni con interessi. Senza sottovalutare il sacro diritto delle imprese private di svolgere la propria attività, in ultima analisi, il modo in cui il ragionamento dietro il lodo Rockhopper espelle qualsiasi considerazione ambientale ha l’effetto di rendere gli interventi sul cambiamento climatico molto più costosi – aumentando la protezione degli espropriati gonfiando gli importi che dovranno essere pagati in compensazione. In quest’ultima sentenza sono infatti inclusi i profitti futuri non realizzati da Rockhopper, aspetto paradossale considerando gli obiettivi legati alla transizione energetica; tale calcolo è stato possibile anche a causa del contenuto del TCE. In breve, la decisione aumenta il prezzo (pubblico) di tenere il petrolio sottoterra,  confermando non solo il detto che “chi inquina non paga” ma rafforzandolo in “chi inquina fa profitti”. Un aspetto sembra cruciale, un dialogo sul TCE è necessario il prima possibile in tutti i fori istituzionali.

Il Trattato sulla Carta dell'Energia (TCE)

Il trattato è stato firmato nel dicembre 1994 ed è entrato in vigore nell’aprile 1998, in un contesto in cui vi era la necessità di integrare i mercati energetici di paesi ex-socialisti. Quando il TCE è stato negoziato, non era ancora pratica differenziare le fonti energetiche in base alla loro compatibilità con gli impegni di politica climatica. Al centro del ECT è la risoluzione delle controversie Investor State (ISDS). Gli Stati contraenti possono essere citati in giudizio dagli investitori di combustibili fossili, anche se adottano decisioni democratiche coerenti con l’accordo di Parigi e gli obiettivi di neutralità climatica.

Nel 2017, le parti contraenti (dall’Europa, dall’UE stessa e dagli Stati membri) hanno avviato un processo di riforma; il semplice abbandono del Trattato potrebbe non essere risolutivo. Se una parte lascia, c’è una clausola che prevede (una cosiddetta ‘tramonto’ o ‘zombie’) che gli investimenti in combustibili fossili possano essere protetti per 20 anni (Art. 45(3), lettera b del trattato). L’Italia è un esempio: nonostante abbia lasciato il trattato nel 2016, il paese ha compensato proprio Rockhopper, come spiegato in precedenza. Tra le altre proposte di riforma, vi è l’idea di un accordo di modifica inter-statale, in base al quale le parti (compresa l’UE) convengono che in caso di uscita, non si applica la clausola di caducità. La Commissione sta spingendo per l’allineamento dell’ECT con l’accordo di Parigi e gli obiettivi ambientali del l’UE. Il TCE modernizzato consentirebbe alle parti contraenti di escludere dalla protezione degli investimenti i nuovi investimenti connessi ai combustibili fossili e di eliminare gradualmente la protezione per gli investimenti già esistenti. Mentre in Europa è in corso il dibattito sull’opportunità di uscire o riformare il TCE, 40 paesi del Sud del mondo sono attualmente candidati all’adesione, tra cui Cina, Indonesia, Cile, Iran, Iraq e molti paesi africani della regione del Sahel. Come ha notato Fabian Flues, questi paesi e i loro rami economici detengono enormi risorse di combustibili fossili da difendere attraverso il TCE, con il rischio di esacerbare le tensioni distributive nord-sud nella transizione energetica.