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Brutte notizie dal Polo Nord e dal Polo Sud: purtroppo neanche le regioni polari del nostro pianeta sono immuni dall’inquinamento causato da plastica.

Alcuni ricercatori dell’Università di Utrecht, in Olanda, hanno effettuato un’analisi della calotta glaciale in Groenlandia e in Antartica, scoprendo la presenza di residui di plastica pericolosi – le nanoplastiche – tra cui addirittura particelle di pneumatici, che sappiamo essere tra l’altro una delle maggiori cause di inquinamento da plastica negli oceani.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Research, ha condotto diverse perforazioni nel ghiaccio fino a una profondità di 14 metri, grazie a metodi innovativi per la rilevazione delle nanoplastiche, e ha mostrato che la contaminazione ha inquinato la regione per almeno 50 anni.

I ricercatori raccontano che in Groenlandia sono stati rilevati 13 microgrammi (corrispondenti a un milionesimo di grammo) di nanoplastiche per millilitro di ghiaccio sciolto. Una quantità quattro volte superiore a quella scoperta in Antartica; questo è probabilmente dovuto al fatto che il processo di formazione del ghiaccio marino concentra più particelle.

La maggior parte delle nanoplastiche rinvenute in entrambe le regioni polari erano di polietilene, il materiale utilizzato per produrre sacchetti di plastica monouso e imballaggi, mentre in Groenlandia sono state trovate addirittura particelle di pneumatici, che secondo un rapporto dell’International Union for Conservation of Nature del 2017 costituiscono circa il 28% di tutte le microplastiche degli oceani del mondo.

Il Professor Dusan Materic, scienziato ambientale a capo della ricerca, ha affermato: «Ora sappiamo che le nanoplastiche possono arrivare persino in questi luoghi remoti della Terra. Questo conferma ancora una volta che costituiscono un problema molto più grave di quello che pensiamo

Negli ultimi anni, il problema dell’inquinamento da microplastiche è diventato sempre più urgente. La maggior parte delle microplastiche presenti nell’ambiente deriva dall’industria tessile del fast fashion, basata sull’utilizzo di materiali poco costosi, in particolare fibre sintetiche ed economiche, principalmente poliestere e nylon.

Oltre a contaminare l’ambiente, diverse ricerche mostrano che le microplastiche finiscono anche nella catena alimentare mettendo a rischio la salute di animali ed esseri umani: si stima che 1 pesce su 3 mangiato dall’uomo contenga microplastiche.

Ma cosa può fare ognuno di noi per ridurre l’inquinamento da microplastiche e cercare di arginare il problema? Piccoli gesti che hanno però un grande impatto: iniziamo ad esempio a evitare il consumo di plastica usa e getta, a ridurre gli acquisti di vestiti e a preferire quelli di seconda mano; oppure a effettuare meno lavaggi, a temperature più basse, dato che a ogni lavaggio i capi sintetici rilasciano notevoli quantità di pericolose microplastiche.