Skip to main content

Torniamo a rispettare la Natura: solo così cureremo il dissesto che abbiamo creato

Apprezziamo il valore delle cose quando ci mancano. Ce ne accorgiamo ora, con la siccità nel bacino del Po: manca l’acqua. Come irrigheremo i campi? Con cosa ci laveremo e cucineremo? Dove è l’acqua che manca? Se pensiamo all’acqua ci viene in mente l’acqua dolce, quella che utilizziamo. Da dove viene? L’acqua evapora dall’oceano lasciandovi i sali, e forma le nuvole: è dolce. Ricade a terra, ci regala l’elemento vitale, e poi toma al mare. Dopo lunghi periodi di siccità, l’acqua spesso arriva tutta assieme e provoca inondazioni, frane, e altre catastrofi, come i cicloni. Le nostre attività, causa primaria del cambiamento globale, alterano il ciclo dell’acqua, con conseguenze disastrose. In alcune parti del pianeta ne arriva troppa, come in Germania l’anno scorso, in altre ne arriva troppo poca, come in occasione degli incendi che hanno devastato le scorse estati australiane. Se manca l’acqua si muore di sete, ma se ne arriva troppa si affoga. Non consola il fatto che, nella media, la quantità d’acqua presente sul pianeta non cambi. Il problema dell’acqua risiede nelle alterazioni del suo ciclo.

I ghiacciai sono enormi depositi di acqua e, gradualmente, la liberano sciogliendosi in estate, alimentando torrenti e fiumi, fino a raggiungere il mare. Se l’acqua che arriva dal cielo non gela e diventa ghiaccio, perché fa troppo caldo, non viene più “sequestrata” nei ghiacciai e scorre impetuosamente a valle, senza gradualità. Alle alluvioni segue la siccità che, poi ,genererà altre alluvioni quando l’acqua evaporata dal mare cadrà in modo impetuoso. Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame, dice un antico proverbio.

Abbiamo “bonificato” le acque “malsane” delle paludi, eliminando un altro modo per calmierare gli eccessi di acqua. Il dissesto idrogeologico che affligge il nostro territorio deriva da una cattiva gestione locale, dalle bonifiche all’impermeabilizzazione dei suoli, e da una ancor peggiore gestione a livello globale, con il già citato cambiamento climatico.

Come uscirne ? La risposta è la transizione ecologica che, però, non potrà essere attuata senza una transizione culturale che basi il nostro agire su solida conoscenza dei processi naturali, nel rispetto dei ritmi della natura. Se li alteriamo, ne paghiamo le conseguenze.

La transizione ecologica viene spesso identificata con la produzione di energia ma deve riguardare anche la gestione dell’acqua. L’acqua genera elettricità: un tempo eravamo maestri nel produrla dall’acqua che scorre, con l’idroelettrico. Ma abbiamo quasi abbandonato questa produzione di energia, pienamente rinnovabile. I motivi sono geopolitici ma derivano anche da una cattiva gestione dei processi di produzione di energia dall’acqua. Basti pensare alla costruzione di dighe in zone inadatte, come ci ha tragicamente insegnato la catastrofe del Vajont. La storia del nostro rapporto con l’acqua continua con la salificazione delle falde acquifere: e mungiamo acqua dalle falde e queste sono invase dall’acqua marina che le rende inutilizzabili per i nostri scopi.

Con l’acqua non si scherza. D’estate andiamo al mare e abbiamo cementificato le coste con un intensissimo sviluppo costiero. La dinamica delle coste, però, non prevede stabilità, come suggerito dalla parola “dinamica”. Se costruiamo direttamente sulla linea di riva, ci esponiamo al rischio che i nostri insediamenti siano spazzati via dal moto ondoso che “toglie” in alcune parti della costa e “mette” in altre parti. L’acqua modella gli ambienti ed è difficile da arginare, deve essere assecondata.

Abbiamo tombato i torrenti, cementificato i letti dei fiumi, ingessato le coste con le difese costiere. Poi, si verificano eventi estremi che portano morte e distruzione. Pensiamo di risolvere con il cemento la cattiva gestione del territorio, esacerbando i problemi con soluzioni a breve termine che portano a problemi ben maggiori. Abbiamo capito che la transizione ecologica è necessaria. Abbiamo cultura sufficiente per attuarla? Per il momento pare di no.

Sbagliando, pensiamo di risolvere con il cemento la cattiva gestione del territorio. Se volessimo trovare una chiave per capire le conseguenze del riscaldamento globale, si legge nell’ultimo rapporto del WWF, quella chiave è proprio l’acqua. I livelli dei fiumi al minimo, la grande sete che affligge le campagne, la carenza di piogge, gli eventi meteorologi ci estremi. «Si stima che circa 4 miliardi di persone, su 7,8 miliardi, sperimentino già una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno» recita il dossier “L’ultima goccia”, che il WWF diffonde nella Giornata mondiale dell’acqua sottolineando come «la popolazione globale esposta a siccità estrema ed eccezionale aumenterà dal 3% all’8% nel 21° secolo», ricordando l’impatto sull’agricoltura che solo in Italia assorbe il 60% della domanda d’acqua, sottolineando quanto sia determinante rispettare gli accordi di Parigi sul clima.

Ferdinando Boero  – Vice Presidente di Marevivo