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La riflessione di Raffaella Giugni per Blasting Talks

Come nasce Marevivo e in che modo si differenzia dalle altre associazioni che operano per la tutela del mare?

Marevivo nasce quasi 40 anni fa dalla visione di un gruppo di persone che, in tempi non sospetti, si sono rese conto che stava succedendo qualcosa al mare. Nasce, quindi, semplicemente dalla passione per la natura e dall’osservazione della realtà. La nostra visione è quella di proteggere il mare e arrestare i danni che la civiltà sta causando a un bene comune così prezioso. Sì, perché il mare produce più del 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe l’anidride carbonica prodotta dalle attività umane, proprio come fanno le foreste terrestri. È quindi essenziale che sia in buona salute per garantire la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. La nostra associazione è indipendente, apolitica e dipende soltanto dalle donazioni e dal supporto di cittadini privati, aziende e fondazioni. A differenza di altre associazioni, la nostra sede è in Italia – un barcone ormeggiato sul Tevere, da cui seguiamo in diretta ogni giorno la vita del fiume  – e lavoriamo anche nel Mar Mediterraneo.

Quali sono le principali attività che portate avanti come associazione?

Oggi continuiamo a portare avanti molte attività di pulizia delle spiagge, per le quali siamo stati i precursori, ma facciamo anche tanto altro, perché è chiaro che questa non può essere l’unica soluzione. Accanto alle attività di cleanup organizziamo anche campagne nazionali e internazionali di comunicazione, sensibilizzazione e divulgazione, perché crediamo che creare consapevolezza nelle persone e fornire informazioni sia la chiave del cambiamento. Le nostre campagne partono sempre da spunti critici e analisi di problematiche ambientali che ci arrivano dal nostro nutrito Comitato Scientifico diffuso su tutto il territorio nazionale.

Può fare un esempio pratico?

Basti pensare alla nostra campagna sulle microplastiche. Nel 2018 abbiamo iniziato un’intensa attività di comunicazione sul tema proprio perché il mondo scientifico aveva sollevato il problema, che allora nessuno conosceva. Alla fine la nostra campagna ha portato a una legge che proibisce le microplastiche nei cosmetici da risciacquo. Un’altra attività che è appena arrivata al capolinea è stata la “Legge Salvamare” (n.d.r., legge numero 60 del 17 maggio 2022, recante disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell’economia circolare). Nel quadro di questa legge sono previste tante azioni concrete e reali per la protezione dei mari.

Quali sono le difficoltà che vi trovate ad affrontare come organizzazione?

Le difficoltà sono molte: in primo luogo, le necessità di sostentamento dell’associazione, perché essendo indipendenti tutto quello che facciamo lo realizziamo grazie all’aiuto di ogni donatore. Siamo fortunati però ad avere una nutrita rete di delegazioni di volontari su tutto il territorio nazionale. Ma il vero problema è quello di trovare persone e istituzioni sensibili alle tematiche che trattiamo. Perché ognuna delle nostre azioni coinvolge interessi economici importanti.

Lo scorso mese avete scritto ai partiti e a tutti i candidati che hanno partecipato alle recenti elezioni: cosa chiedete alle istituzioni e quali sono le vostre aspettative?

Abbiamo stilato una breve agenda di quali dovessero essere le azioni principali che la nuova legislatura avrebbe dovuto prendere in considerazione. La prima tra tutte è quella di prevedere una politica coordinata per il mare, perché ad oggi la gestione di questo bene così prezioso è distribuita tra molti ministeri che si occupano del mare in maniera indipendente, senza avere una cabina di regia e coordinamento. Invece è più che mai necessaria una politica integrata, perché il mare per l’Italia è un asset fondamentale. Abbiamo anche proposto altre richieste specifiche, ad esempio un’azione concreta per attuare i decreti attuativi della Legge Salvamare e di molte leggi che abbiamo proposto e scritto insieme ai governi.

La crisi climatica e lo stato dei nostri mari sono strettamente connessi: come si influenzano l’un l’altro?

I cambiamenti climatici sono indissolubilmente interconnessi con la salute del mare. Il riscaldamento dei mari e l’acidificazione degli oceani, ad esempio, hanno un impatto negativo sulla biodiversità. Inoltre, a causa di questi fenomeni entrano in gioco anche altri problemi, come ad esempio l’introduzione di specie aliene nei nostri mari o l’innalzamento del livello delle acque.

Dal vostro punto di vista pensate che i recenti avvenimenti internazionali abbiano attenuato l’attenzione su questa emergenza?

Tutto quello che è successo negli ultimi anni ha avuto impatti pesanti sull’ambiente, a cominciare dalla pandemia. Basti pensare al caso della plastica monouso: a causa della pandemia, ad esempio, la quantità di frutta e verdura in confezioni di plastica è aumentata in maniera esponenziale perché le persone pensano che sia più igienica e sicura, ma questo ha creato enormi problemi a livello di smaltimento. La guerra invece ha riportato in primo piano tutti gli aspetti più delicati sul tema dell’energia. Marevivo parla da sempre dell’importanza di attuare una vera e propria transizione ecologica che passa dallo sviluppo e dall’utilizzo delle energie rinnovabili e la guerra ha evidenziato ancora di più tutti i limiti della dipendenza energetica dagli idrocarburi.

Guardando al futuro, cosa vi aspettate dai prossimi anni?
Pensate che le persone riusciranno davvero a sviluppare una maggiore sensibilità verso le tematiche della difesa dei mari e dell’ambiente?

Io credo che le nuove generazioni siano molto più consapevoli rispetto alle nostre di questi problemi e queste tematiche. Credo anche che un ruolo fondamentale in questo cambiamento lo abbiano i media, perché hanno un potere di penetrazione che noi singole associazioni non avremo mai. Per questo, il loro supporto in questa transizione è fondamentale: lo abbiamo visto con la pandemia, dove i media hanno avuto un ruolo fondamentale. Siamo molto fiduciosi nelle nuove generazioni, vediamo che sono molto sensibili, ma il problema è che non possiamo aspettare oltre. La nostra generazione ha in mano il cambiamento, quindi siamo noi i primi a doverlo realizzare. Lo dobbiamo alle future generazioni, perché la nostra salute dipende dalla salute del mare e la salute del mare dipende dalle azioni di ognuno di noi.