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La ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop27 di Sharm el-Sheikh si è conclusa all’alba di domenica 20 novembre. Un primo passo sulla giustizia climatica, ma nessun avanzamento sulla questione centrale delle emissioni di CO2.

  • Introdotto il principio di un nuovo fondo per rispondere alle perdite e danni (loss and damage) patiti dai paesi più poveri e vulnerabili della Terra di fronte ai cambiamenti climatici.
  • Nessun avanzamento dal punto di vista della mitigazione dei cambiamenti climatici. Ovvero dell’abbassamento delle emissioni di gas ad effetto serra.

Ne abbiamo parlato insieme a Melissa Tomassini, Assistente di ricerca presso l’Università di Manchester & Consulente per la Gioventù presso l’Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite (UNIDO);

 

Ci spieghi brevemente che cos’è la Cop?

Da quasi tre decenni le Nazioni Unite riuniscono in un vertice annuale la Conferenza delle Parti, formata dai paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici, la quale punta alla riduzione delle emissioni dei gas serra in quanto direttamente correlati al surriscaldamento globale. Nonostante all’epoca il trattato non stabiliva limiti obbligatori, prevedeva comunque la stipula di una serie di protocolli come quello di Kyoto che avrebbero introdotto accordi vincolanti per il contrasto dei cambiamenti climatici. Un’intesa epocale in tal senso si è raggiunta nel 2015 con il celebre Accordo di Parigi, un piano di azioni concordato dai leader mondiali volto il mantenere l’aumento della temperatura media globale appena al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarli al ad 1.5°C; l’Accordo mirava inoltre ad orientare i flussi finanziari privati e statali verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamenti climatici. La COP, quale organo decisionale supremo della convenzione, esamina ogni anno le comunicazioni nazionali e gli inventari delle emissioni presentate dalle Parti, insieme alla loro effettiva attuazione.

Le discussioni finali della Cop26 che si è tenuta a Glasgow l’anno scorso si erano arenate sulla questione della decarbonizzazione. I Paesi più ricchi volevano eliminare gradualmente l’uso del carbone come combustibile fossile, le grandi economie in via di sviluppo, come India e Cina, non erano d’accordo. La Cop26 si era conclusa con questo compromesso: i paesi hanno optato per l’espressione “ridurre gradualmente” l’uso del carbone piuttosto che “eliminare gradualmente”. Inoltre, ricordiamo che l’India e altri paesi avevano manifestato la volontà di includere oltre al carbone anche olio e gas. Nella COP27 quali sono stati i passi in avanti rispetto a questo tema, se ci sono stati?

La questione della decarbonizzazione, così come quella dei sussidi governativi concessi alle fonti fossili, hanno rappresentato un’occasione mancata nella precedente COP di Glasgow. Infatti, il documento finale della COP 26 infatti subì una modifica dell’ultimo minuto fortemente voluta da India e Cina comportando un consistente rallentamento dell’eliminazione del carbone e dei sussidi alle fonti fossili: l’ultimo testo firmato dai 197 paesi faceva riferimento ad una riduzione progressiva, ma non parlava di eliminazione. Ma anche il documento approvato all’ultima COP 27 di Sharm El Shake non fa alcun accenno né alla riduzione né alle all’eliminazione dell’uso dei combustibili fossili, limitandosi a proporre la riduzione della produzione elettrica a carbone con emissioni non abbattute, mantenendo gli impegni di carbonizzazione attuali: ciò significherebbe un taglio delle emissioni dello 0,3% al 2030 rispetto al 2019.

L’accordo, come è noto, non ha ricevuto l’ammissione da parte del Segretario Generale e della Presidentessa della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, la quale ha chiarito in una nota come la decisione finale “abbia curato alcuni dei sintomi ma non la febbre del paziente”. D’altro canto, un risvolto positivo riguarda la cosiddetta “Agenda della Svolta”, un accordo siglato da un gruppo di stati che rappresentano la metà del PIL globale in occasione della giornata della decarbonizzazione e che consiste in un pacchetto di 25 nuove azioni di cooperazione per accelerare la riduzione delle emissioni nei 5 settori chiavi della produzione elettrica. L’iniziativa, promossa con il sostegno delle organizzazioni internazionali del settore privato finanziario ed industriale, sembra dare così uno slancio alla cooperazione tra i diversi stakeholders.

Un altro mantra della COP26 dell’anno scorso è stato quello di tenere vivo l’obiettivo 1.5 gradi, ovvero contenere di 1.5 gradi l’innalzamento della temperatura globale al 2030. Cosa dice la bozza di testo della COP27 su questo tema?

La COP 26 si è inserita nel solco tracciato dalla COP 21 tenutasi a Parigi nel 2015, in occasione della quale per la prima volta tutti i Paesi avevano accettato di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, impegnandosi a ridurlo fino a 1.5°C. La rapida riduzione delle emissioni è stata ribadita anche nella dichiarazione finale della COP 27, ma senza nuove ambizioni rispetto alla precedente COP. Il documento finale della COP 27 riconosce che per mantenere il target di 1.5°C è necessario un taglio delle emissioni del 43% al 2030 e prevede l’aggiornamento degli impegni di decarbonizzazione degli Stati National and turning contributions entro la COP 28 nel 2023. Tuttavia Frans Timmermans, il primo Vicepresidente della Commissione Europea, ha evidenziato come ci siano stati molti tentativi di tornare indietro persino rispetto agli impegni di Glasgow.

Passiamo invece al vero protagonista della COP di quest’anno, ovvero il tema del Loss and Damage. Ci spieghi brevemente di cosa si tratta e poi quali sono stati i risultati su questo?

L’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteorologici estremi ha reso imperativo il dibattito sulla politica climatica in materia di Loss & Damage. La definizione ampiamente accettata del termine descrive le perdite e i danni come gli impatti dei cambiamenti climatici che non possono o non sono stati evitati attraverso la mitigazione e l’adattamento.

Dall’istituzione del “Meccanismo Internazionale di Varsavia per le perdite e i danni climatici” nella COP 19 del 2013, gli elementi di Loss & Damage nei Paesi in via di sviluppo hanno acquisito un’importanza crescente. Tuttavia, nonostante i reiterati appelli da parte dei Paesi più vulnerabili, le opzioni di attuazione sono state finora poco performanti.

La COP 27, entro cui ci si attendeva di rendere operative le funzioni del “Santiago Network for Loss & Damage”, ha fatto in realtà un passo avanti in questo senso, dal momento che il tema, sempre più impellente, è entrato per la prima volta nell’agenda della Conferenza. Inoltre, l’accordo conclusivo ha prodotto una svolta storica in quanto ha decretato l’istituzione di un fondo di compensazione per le perdite e i danni indotti dal cambiamento climatico. In base a quanto è stato stipulato, un comitato transitorio si occuperà dell’avvio operativo del fondo da presentare alla prossima COP che si che si terrà negli Emirati Arabi Uniti nel 2023, e si è finalmente raggiunta l’intesa in base alla quale i destinatari degli aiuti saranno i Paesi più vulnerabili e non quelli in via di sviluppo (tra cui appunto Cina ed India).

È doveroso ricordare che circa un miliardo di bambini, quindi quasi la metà della popolazione infantile mondiale, vive in un paese con un rischio estremo di subire gli impatti del cambiamento climatico. È perciò necessario che siano innanzitutto loro al centro delle soluzioni proposte nell’ambito del Loss & Damage.

Entriamo adesso nello specifico di quello che riguarda più direttamente noi come Marevivo: tutela del mare e degli oceani. ricordiamo che il mare è un protagonista della lotta ai cambiamenti climatici, perché produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo, assorbe un terzo della CO2, gas responsabile del riscaldamento globale, e con le sue correnti e maree regola il clima terrestre. Nella COP dello scorso anno, era un grande assente. Quest’anno qualche passo in avanti è stato fatto, ci racconti come mai?

Durante la Conferenza sugli Oceani tenutasi a Lisbona lo scorso giugno si è concordato collettivamente sull’importanza di incrementare il numero di azioni innovative basate sulla scienza per affrontare l’emergenza oceanica. Il rapporto ONU derivato da questa decisione, in cui si afferma l’importanza vitale degli Oceani per i mezzi di sussistenza e per la biodiversità, mira a creare un risultato politico rilevante sugli Oceani nel quadro della COP, includendo misure rafforzate per costruire la resilienza delle comunità costiere e i finanziamenti necessari a tal fine. Allo stesso tempo, il Segretario ONU sui cambiamenti climatici auspicava la promozione di quadri politici di lungo termine per ridurre le emissioni di gas serra, anche attraverso l’energia rinnovabile offshore e la riduzione delle emissioni del trasporto marittimo.

Gli oceani coprono circa il 70% della superficie del Pianeta e le persone nelle regioni costiere continuano ad essere colpite dai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo gli Oceani hanno un vasto potenziale in termini di lotta ai cambiamenti climatici, in quanto producono ossigeno e hanno la capacità di immagazzinare l’anidride carbonica. Le acque costiere sono anche un luogo privilegiato per progetti di energia rinnovabile e per la protezione e il ripristino dell’ecosistema.

Un interessante sviluppo della COP su questo tema riguarda il nuovo piano di azione lanciato dalle Nazioni Unite, armatori e sindacati volto a formulare raccomandazioni per migliorare le competenze della gente di mare per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione nel trasporto marittimo. Attualmente le emissioni in quest’area rappresentano circa il 3% delle emissioni globali, dunque è necessario passare da carburanti convenzionali a tecnologie alternative a basse emissioni di carbonio per raggiungere l’obiettivo mondiale del riscaldamento globale al di sotto di 1.5°C. La scorsa settimana la Presidenza egiziana, la Germania e l’Unione Internazionale per la conservazione della Natura hanno annunciato congiuntamente un’iniziativa per tutte le soluzioni basate sulla natura, che coordinerà gli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico, il degrado del suolo e degli ecosistemi. Tra le sette aree di interesse per strutturare il lavoro futuro figurano anche gli Oceani e l’economia blu sostenibile.

Per la prima volta nella storia delle COP, inoltre, quest’edizione ha ospitato ben due padiglioni dedicati agli Oceani e al mare:

  • l’Ocean Pavilion, organizzato interamente da organizzazioni e istituzioni legate alla all’accademia e al mondo della scienza; è proprio qui che hanno offerto lo scenario per un ricco programma di interventi e sessioni dedicate all’individuazione di decisioni politiche volte alla tutela dell’ecosistema marino;
  • il Mediterranean Pavilion, di cui si sono fatti i promotori l’organizzazione intergovernativa dei 42 paesi UE e dell’area amena; anche qui si sono tenuti interventi e convegni di rilevanza sui temi della sostenibilità dell’energia rinnovabile, con un focus specifico sul Mediterraneo nell’intento di incrementare la consapevolezza sulle sfide che la regione sta attraversando e che coinvolgono anche il nostro Paese.

Dall’esterno, le aspettative per la Cop27 erano molto basse e in generale molti hanno avuto un atteggiamento critico, contestando tra le altre cose il fatto che alla fine le decisioni politiche che vengono prese non sono sufficientemente efficaci e concrete per contrastare il problema. Vivendola dall’interno, che atmosfera si respirava?

Bisogna ammettere che questa COP si sia tenuta sullo sfondo di una generale perdita di fiducia nei confronti della comunità internazionale, come ha affermato anche il Segretario Generale dell’ONU, rispetto non solo alla mancanza di implementazione degli accordi di Parigi ma anche della massiccia presenza dei lobbisti dell’industria fossile e dall’ambiguità della scelta della sede ospitante.

Essendo stata questa la mia prima COP, l’ho vissuta con una gran dose di curiosità e determinazione. Ci sono state delle soddisfazioni in particolare rispetto alla tematica della partecipazione dei giovani quali agenti positivi del cambiamento. Ho trovato infatti molto interessanti le sessioni che abbiamo organizzato insieme ad altre agenzie ONU, in particolare quelle sul ruolo dell’uguaglianza di genere per una giusta transizione e un resiliente sistema energetico, le quali sono state delle occasioni per riaffermare e presentare il contributo positivo che le donne svolgono nel rafforzamento del nesso tra acqua, energia e nutrizione.

Quali sono secondo te i prossimi passi? Possiamo mantenere un atteggiamento ottimista oppure più cauto?

Io propenderei assolutamente per la cautela alla luce della procrastinazione che c’è stata nelle negoziazioni e in particolar modo credo sia necessario guardare con grande prudenza e apprensione, oltre che con un atteggiamento critico. Ci saranno sicuramente dei risvolti positivi per quanto riguarda l’inclusione della società civile e dei giovani in particolare, e questa è una mossa che il che il Segretario Generale dell’ONU ha accolto con grande. Per quanto riguarda il mare, sicuramente abbiamo ancora tanto da fare, però qualche passo in avanti l’abbiamo visto.