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L'editoriale della nostra Presidente Rosalba Giugni su La Repubblica

C’è un apologo della cultura ambientale. Un lago era stato infestato da una pianta acquatica coprente che si riproduceva a un ritmo geometrico, ogni giorno raddoppiava la superficie infestata. Quando avrebbe coperto completamente la superficie, nei fondali non ci sarebbe stata più vita. Come si presentava alla vista lo specchio d’acqua il penultimo giorno? La metà era completamente libera e trasparente, chi non avesse saputo del ritmo di riproduzione della pianta non avrebbe immaginato che 24 ore dopo il lago sarebbe morto.

La nostra condizione assomiglia a quel penultimo giorno. Pensiamo di avere tempo per arrestare l’inquinamento che produciamo e che è corresponsabile dei cambiamenti ambientali e climatici. Ne abbiamo meno di quello che pensiamo. Anche i negazionisti dovrebbero convincersi che agire con tempestività sarebbe comunque un atto precauzionale che non danneggerebbe né le loro posizioni politiche né il sistema economico che credono di difendere e che deve comunque rinnovarsi.

In questi giorni il governo italiano sta lavorando alla bozza di un piano del mare, una giusta iniziativa. La bozza, approvata dal comitato interministeriale per le politiche del mare, induce a un ottimismo non retorico, ma non recepisce alcuni punti essenziali che nella fase di audizione il movimento ambientalista aveva fatto presenti. Vediamone alcuni. La lotta all’invasione di plastiche e microplastiche nei nostri mari. Ricordiamo che è soprattutto attraverso l’acqua che le microplastiche attaccano il corpo umano: sono state rinvenute anche nel sangue e nella placenta materna. Secondo punto. La principale fonte di inquinamento marino è costituita dai fiumi. I controlli sulle attività industriali nei bacini fluviali sono insufficienti e inefficienti gli impianti di depurazione. Un esempio, il golfo di Napoli: a fronte dei finanziamenti erogati solo il 18,4% degli impianti di depurazione risulta a norma. Vanno potenziati. Terzo punto: la pesca. Il documento deve essere più severo. Non basta regolamentare le quantità di pescato, ma anche vietare l’uso di materiali indistruttibili, reti, lenze, calzette di nylon per gli allevamenti delle cozze, cassette di polistirolo per lo stoccaggio. Quarto punto: stessa severità è indispensabile nelle attività invasive che alterano profondamente l’equilibrio dell’ambiente come trivellazioni, dragaggi e cementificazione. Pensiamo al progetto di nuova diga foranea di Genova, i cui vantaggi economici sono messi in discussione anche da alcuni economisti dei trasporti. Stessa cautela sullo sfruttamento economico del mare andrebbe osservata sul turismo.

Aggiungerei due considerazioni anche simboliche. Una riguarda il capitolo delle aree marine protette: per raggiungere l’obiettivo del 30% di protezione totale della superficie marina entro il 2030, come indica l’Onu e come il documento ribadisce, servono più fondi e maggior organizzazione. Sarebbe auspicabile che le Aree marine protette italiane diventino Parchi Nazionali Marini con gli stessi criteri di gestione e poteri di quelli terrestri. La seconda, le isole minori: sono un patrimonio naturalistico e culturale inestimabile che potrebbe essere utilizzato come laboratorio di sperimentazione della transizione energetica.

Nel documento c’è una buona visione generale per il futuro, e questa visione dovrebbe informare tutto il resto del lavoro da fare. Il capitolo dell’educazione al mare nelle scuole di ogni forma e grado rappresenta l’approccio che ci aspettiamo da un governo che vuole investire sulle riforme perché non è possibile una transizione ecologica senza una conversione culturale.

Il Piano è un documento di orientamento e non è ancora chiuso. Forse ci sono margini per intervenire. Ci auguriamo che i suggerimenti del nostro mondo, dei nostri comitati scientifici, vengano accolti. Al ministro Musumeci, che va incoraggiato per l’impegno, chiediamo più ambizione ambientale e più difensori del pianeta blu nel gruppo di esperti a cui si affida. Anteporre l’economia all’ecologia ha un prezzo. Non deve esistere conflitto tra economia ed ecologia. La prima deve rinnovarsi, le questioni ecologiche sono una grande opportunità per il futuro.