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Anche Marevivo sul palco della terza edizione del “Phygital Sustainability Expo”, il primo evento in Italia interamente dedicato alla sostenibilità nel campo della moda e del design attraverso l’innovazione tecnologica.

Nello scenario suggestivo dei Mercati di Traiano a Roma, uno dei siti archeologici più importanti al mondo, il settore della moda e quello delle start-up si sono incontrati per scambiarsi riflessioni e best practices con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale di questo comparto, in cui il nostro paese è da sempre capofila.

Purtroppo l’industria della moda si configura oggi come una delle più inquinanti: al quarto posto per impatto ambientale, al terzo posto per consumi di acqua e suolo e al quinto per uso di materie prime ed emissioni di gas serra. I ricercatori dell’Agenzia Europea dell’Ambiente hanno messo in evidenza come il settore consumi più energia rispetto all’industria del trasporto navale e aereo sommate insieme, e come entro il 2050 sarà responsabile, per circa il 25%, sul totale del bilancio di CO2: la quantità di anidride carbonica che può essere immessa in atmosfera prima che lo scostamento delle temperature medie globali raggiunga il “valore soglia” di +1,5°C.

I grandi brand del fashion, del fast fashion in particolare, generano, secondo le stime, circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili ogni anno a livello globale. Ma oltre al problema dello smaltimento di queste enormi quantità di rifiuti, c’è un altro problema, forse ancora più grave ma purtroppo meno conosciuto e sottovalutato, perché invisibile a occhio nudo.

Si tratta dell’inquinamento causato dal rilascio delle microfibre che avviene ogni volta che laviamo in lavatrice i nostri capi di abbigliamento. Oggi circa il 60% dei vestiti su produzione globale viene realizzato con fibre sintetiche, che rilasciano microplastiche durante i lavaggi in lavatrice.

Le microfibre sono minuscole particelle, di dimensione inferiore a 5 micrometri e quindi invisibili all’occhio umano, quelle che provengono dai tessuti sintetici sono le più pericolose perché di plastica. Ad ogni lavaggio ne vengono rilasciate milioni, riversandosi dagli scarichi delle nostre case nei mari e negli oceani. Si stima che solo i vestiti ne rilascino negli oceani mezzo milione di tonnellate all’anno, pari a circa 50 miliardi di bottiglie di plastica.

Raffaella Giugni, Responsabile Relazioni Istituzionali Marevivo, è intervenuta ieri all’interno del panel sull’Obiettivo 14 dell’Agenda 2030, “La vita sott’acqua”, per parlare di microfibre, una vera emergenza per il nostro mare e per ribadire la gravità della situazione e la necessità di intervenire con azioni consapevoli.

Il 30% della plastica presente in mare è costituito dalle microfibre rilasciate durante i lavaggi in lavatrice, rappresentando un grave danno per l’intero ecosistema, vengono ingerite dagli organismi marini, finendo così nella catena alimentare fino all’uomo” – ha dichiarato, lanciando però un messaggio di speranza – “Per fortuna il connubio tra brand sensibili e innovazione tecnologica può aiutarci ad arginare il problema. Ci sono azioni importanti che possono determinare il cambiamento, a partire dai semplici gesti quotidiani. Il sistema di filtraggio delle lavatrici, per esempio, è fondamentale per ridurre l’impatto ambientale. Grundig, per esempio, tra le aziende leader del settore, ha lanciato sul mercato una lavatrice con uno speciale filtro integrato in grado di catturare le microfibre tessili prima che finiscano negli scarichi e, quindi, nel mare.”

Ognuno di noi può fare la differenza: l’unico modo per invertire il trend è impegnarsi insieme e attuare, ognuno attraverso piccoli ma importanti gesti, una vera e propria transizione ecologica, che, come dice il nome, sia un vero e proprio cambiamento, un’evoluzione di pensiero e di approccio alle abitudini quotidiane.

Tre i pilastri fondamentali di questo cambiamento: una transizione energetica che preveda l’uso di risorse naturali senza più sfruttare combustibili fossili, una transizione alimentare che preveda una regolazione dello sfruttamento delle risorse del mare da usare per nutrirci e un passaggio a un’alimentazione senza animali, e una transizione verso l’economia circolare che preveda il riutilizzo di oggetti e materiali già usati e la loro trasformazione in qualcosa di nuovo, dando nuova vita a qualcosa che altrimenti diventerebbe un rifiuto inquinante, dannoso e pericoloso per gli esseri viventi e per l’uomo.