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Presso gli antichi greci, la foca monaca era sacra al dio del sole Apollo, nonché creatura amata dal dio del mare Poseidone. Ampiamente diffusa in tutto il Mediterraneo, era ben conosciuta anche dai romani che le attribuivano natura umana chiamandola “Vecchio di mare”.

La Foca monaca del Mediterraneo, il cui nome deriva dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci, è una delle specie maggiormente minacciate d’estinzione al mondo.

Fino agli anni ‘70 in Italia era presente in Sardegna, nelle isole Tremiti e all’isola d’Elba. Accusata dai pescatori di rubare pesce dalle reti causando danni alle stesse è stata barbaramente uccisa per decenni persino con la dinamite. Data il suo scarso tasso riproduttivo (ogni due anni un cucciolo dopo il quinto anno di età) e data l’altissima mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite (agosto-novembre quando spesso le grotte dove nascono i cuccioli si allagano e le onde trascinano i piccoli incapaci di nuotare per i primi quattro mesi), la sua sopravvivenza è legata solo all’opportuno ed efficace intervento dell’essere umano per la sua protezione e conservazione.

Le stime della popolazione superstite indicano oggi un numero complessivo di circa 400 o 500 individui, distribuiti in piccoli nuclei sparsi principalmente tra le Isole Greche, le coste mediterranee della Turchia e un breve tratto di costa atlantica compreso tra il Marocco e la Mauritania. Stranamente queste valutazioni, confermate nella Conferenza di Montecarlo del gennaio 1998, sono identiche a quelle formulate più di vent’anni fa durante la Prima Conferenza Internazionale sulla Foca Monaca tenuta a Rodi nel maggio 1978. I ricercatori allora consideravano molto probabile, se non addirittura certa, l’estinzione della foca monaca entro la fine del secondo millennio. Fortunatamente si sbagliavano: infatti, la Foca monaca ha salutato l’arrivo del 2000, e questo non certo grazie agli sforzi attuati per proteggerla, ma grazie soprattutto alla sua capacità di continuare a sopravvivere e riprodursi, tenendosi nascosta agli sguardi dei pescatori, dei turisti e spesso anche dei ricercatori.

Non è certamente intenzione di Marevivo di negare la drammatica situazione in cui versa oggi la specie: ciò che si desidera rilevare è che in tutti questi anni non si é ancora riusciti a conoscere veramente questo animale, tanto che le sue abitudini di vita sono ancora in gran parte avvolte dal mistero, e ogni sua fugace apparizione suscita stupore e meraviglia.

Tutti gli esperti concordano nel dire che la popolazione di foche monache esistente nel Mediterraneo alla fine degli anni Settanta era ampiamente sottostimata: è quindi lecito sperare ancora oggi nell’esistenza di nuclei vitali che sfuggano all’appello dei ricercatori, anche perché i metodi di ricerca utilizzati oggi per la Foca monaca sono, in pratica, gli stessi di vent’anni fa. Le poche indagini scientifiche svolte recentemente in Mauritania, in Grecia e in Turchia, hanno fornito informazioni che smentiscono alcune delle convinzioni generalmente riportate in letteratura. La foca monaca non frequenta esclusivamente i bassi fondali in prossimità della costa, come molti in passato ritenevano, ma compie spostamenti giornalieri di alcune decine di chilometri, ed è stato dimostrato che raggiunge con estrema facilità i novanta m di profondità.

Probabilmente le foche non vivono costantemente in prossimità della costa, ma trascorrono alcuni periodi dell’anno in alto mare. Inoltre questi animali possono essere più o meno diffidenti in funzione dell’età, del sesso, del periodo dell’anno e, infine, anche del carattere individuale. Va poi detto che in tutto il Mediterraneo, così come anche in Italia, esistono ampi tratti di costa frequentati dall’uomo solo nel periodo estivo, e altri ancora in pratica indisturbati.

La foca monaca inoltre è una straordinaria nuotatrice. Per nuotare utilizza gli arti posteriori, che muove lateralmente, e gli anteriori per manovrare. Agile ed aggraziata in acqua, ha una pessima mobilità a terra al contrario delle otarie che utilizzano le pinne anteriore come propulsore in acqua e una volta a terra si sollevano sui quattro arti, diventando più agili della monaca che invece utilizza solo il ventre.

Solo creando aree protette e controllate si può sperare di riottenere i successi che sono stati raggiunti con la specie hawaiana. Ciò impedirebbe la scomparsa della specie dal Mediterraneo.

Marina Pulcini

La foca monaca del Mediterraneo è l’unico pinnipede storicamente e stabilmente presente nel bacino del Mediterraneo.

La sua attuale distribuzione è solo parzialmente nota. Sono ben conosciuti alcuni luoghi dove numerose femmine adulte si recano ogni anno per svolgervi l’attività riproduttiva. In alcuni di questi si concentrano decine di animali soprattutto nel periodo autunno – inverno, quando le femmine adulte danno alla luce i loro piccoli e li allattano. Le foche monache svolgono a terra sia il parto che l’allattamento, mentre tutti gli esemplari, quindi anche i maschi adulti, trascorrono alcuni giorni all’anno fuori acqua in uno stato semi letargico, nel periodo della muta del pelame. Ciò avviene in genere alla fine del periodo di allattamento, quasi sempre in corrispondenza dell’inizio della primavera.

Le grotte dove si concentra un numero elevato di animali sono quelle situate lungo la costa atlantica tra il Marocco e la Mauritania, nell’isola Desertas dell’Arcipelago di Madeira e in alcune isole dell’Egeo, in particolare quella di Yaros, quella di Piperi e poche altre. Esistono poi decine di grotte, distribuite in particolare tra la Grecia e la Turchia, dove quasi ogni anno si registrano singoli parti. Queste grotte sono frequentate da piccoli nuclei familiari composti da una o due femmine adulte, qualche giovane e un unico maschio adulto dominante che svolge attività di controllo territoriale su ampi tratti di costa. Lungo le coste della Cilicia, ad esempio, è censita ormai da molti anni la presenza di quattro maschi adulti distribuiti lungo un tratto di costa di circa duecento chilometri. Ogni maschio controlla alcune decine di chilometri di costa, interrotti anche da città, porti e villaggi turisti, dove si trovano anche uno o più nuclei di femmine riproduttrici. La presenza di animali con questo tipo di distribuzione è molto difficile da rilevare. Infatti, ogni piccolo nucleo familiare di foche monache frequenta in modo occasionale numerose località che possono essere anche distanti tra loro decine e perfino centinaia di chilometri.

Questo spiega molto bene il fenomeno che si è riscontrato in Italia ormai da alcuni decenni e cioè la presenza occasionale di foche monache nel Tirreno, nel canale di Sicilia, nel Mar Ionio e in Adriatico. La maggior parte delle osservazioni di foca monaca in territorio italiano è avvenuta in modo del tutto occasionale e apparentemente imprevedibile. Fanno eccezione solo alcune osservazioni dirette come quelle effettuate alle isole Egadi tramite sistemi di video controllo remoto, avviati inizialmente dal Gruppo Foca Monaca su invito del Ministero dell’Ambiente e poi dall’ISPRA insieme all’Area Marina Protetta delle isole Egadi.

Le normali abitudini di vita delle foche offrono ben poche occasioni per l’osservazione diretta di animali in superficie. Queste occasioni possono aumentare in alcuni casi specifici che potremmo riassumere come segue:

1. animali in difficoltà, feriti o parzialmente intrappolati in reti fantasma
2. giovani individui attivi nella pesca sotto costa e in orario diurno
3. individui adulti o sub-adulti nelle pause di respirazione durante l’attività di riposo in apnea
4. maschi adulti territoriali che controllano qualsiasi intruso nel loro territorio, comprese canoe e piccole imbarcazioni
5. femmine adulte che si muovono sotto costa in prossimità dei siti riproduttivi, soprattutto se disturbate dalla presenza del maschio territoriale dominante
6. esemplari giovani o adulti impegnati in superficie con una preda che non è stato possibile ingerire intera direttamente durante la cattura. Prede come i polpi, ad esempio, possono mettere in difficoltà una giovane foca, mentre prede di dimensioni notevoli come gronghi, murene o cernie, devono essere “lavorate” in superficie per essere ridotte in brandelli o per essere ingerite con manovre che sfruttino anche la forza di gravità. In questi casi le prede vengono sollevate o scosse violentemente in aria. Durante simili manovre gli animali sono talmente concentrati nel loro “lavoro” che l’eventuale presenza umana, normalmente mal tollerata, sarebbe invece in questi casi del tutto ignorata.

Oggi esistono sistemi di video controllo che possono essere utilizzati sia per effettuare riprese a tempo che per controlli di lunga durata, tramite sistemi a gestione remota collegati via cavo con una stazione ricevente in superficie. Un esempio è quello che ha consentito al Gruppo Foca Monaca di documentare in dettaglio l’attività di sonno in apnea nella penisola di Kamenjak, in Istria dal 2012 al 2014.

Un monitoraggio sulla situazione della foca monaca del Mediterraneo dovrebbe coinvolgere a vario grado tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo con modalità e tecniche possibilmente uniformi. Il monitoraggio dovrebbe essere accompagnato da campagne d’informazione attraverso materiali stampati e video coordinati, anch’essi omogenei dal punto di vista delle informazioni contenute. Il sistema più avanzato di video controllo oggi disponibile consente di mantenere sotto costante controllo visivo i siti sensibili, come grotte storicamente utilizzate dalle foche o comunque considerate idonee al loro possibile utilizzo.

Esiste poi una nuovissima tecnica che opera rilevando la presenza nell’ambiente, cioè in acqua raccolta sotto costa o anche in mare aperto, di infinitesime tracce biologiche mediante analisi molecolare. La tecnica è comunemente chiamata e_DNA, che in italiano può essere tradotto come l’analisi del DNA ambientale. È in corso di pubblicazione il primo studio scientifico che vede questa innovativa tecnica applicata proprio al monitoraggio della foca monaca: uno sforzo congiunto dell’Università di Milano Bicocca insieme al Gruppo Foca Monaca e ad altri enti internazionali. Grazie a questa novità sarà presto possibile certificare la presenza di foche monache anche in tutti quei casi in cui le normali tecniche si sono dimostrate finora inadeguate.

Emanuele Coppola

Foca Monaca del Mediterraneo

Monachus monachus

Stato di conservazione: Vulnerabile

Peso: fino a 300 kg

Minacce: bycatch, traffico marittimo, inquinamento