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Dopo lo storico accordo di marzo, serve l'approvazione degli Stati firmatari e delle legislazioni nazionali.
Il nostro appello: "L'Italia dia l'esempio e sia la prima"

L’ONU ha adottato il primo Trattato internazionale per proteggere l’Alto Mare, ovvero di quelle acque che si trovano oltre le 200 miglia nautiche dalle coste (370 chilometri) e che non ricadono in nessuna giurisdizione nazionale. Si tratta di uno storico accordo ambientale progettato per proteggere gli ecosistemi marini, vitali per l’umanità. Il trattato stabilirà un quadro giuridico per estendere le aree di protezione ambientale alle acque internazionali, che costituiscono oltre il 60% degli oceani del mondo.

Partendo dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, questo accordo rafforza in modo significativo il quadro giuridico per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina in oltre due terzi dell’oceano. Il trattato – spiegano le Nazioni Unite – fornisce un quadro essenziale per la cooperazione intersettoriale tra gli Stati e altre parti interessate per promuovere lo sviluppo sostenibile dell’oceano e delle sue risorse, e per affrontare le molteplici pressioni che deve affrontare.

Uno degli obiettivi più ambiziosi del Trattato per la protezione dell’Alto Mare, come detto, è tutelare il 30% degli oceani entro il 2030, attraverso la creazione di una rete di Aree Marine Protette: attualmente, infatti, solo l’1,2% degli oceani è sotto protezione totale.

Il secondo punto centrale del trattato è regolamentare lo sfruttamento delle risorse. L’avanzare della tecnologia e delle strumentazioni innovative hanno infatti reso l’Alto Mare sempre più accessibile e, di conseguenza, hanno reso sempre più facili attività come l‘estrazione di minerali o di risorse alimentari (pesca e prelievo di piante e alghe soprattutto per l’industria farmacologica).

La sua attuazione efficace e tempestiva contribuirà in modo cruciale al raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi relativi agli oceani dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e del quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal. Affinché diventi operativo, però, deve prima essere ratificato da almeno 60 nazioni: solo così potrà entrare in vigore e diventare uno strumento giuridicamente vincolante.

A questo proposito, la nostra Presidente Rosalba Giugni ha lanciato un appello al governo: «Il Trattato è un passo fondamentale e l’Italia, vista la sua posizione nel Mediterraneo, dovrebbe per prima dare l’esempio con azioni concrete. Intanto, serve l’immediata approvazione dei decreti attuativi della legge Salvamare, che non riguarda direttamente il Trattato, poiché si parla di acque nazionali, ma contribuirebbe in maniera determinate alla salute dell’ambiente marino in generale.

La creazione del ministero del Mare da parte di questo governo ci ha fatto ben sperare, perché per passare all’azione serve un lavoro di coordinamento tra diversi ministeri che, per quanto riguarda l’ambiente marino, è proprio in capo al dicastero di Musumeci. Il Mediterraneo è  una zona fondamentale di protezione ecologica e come Italia, visto la nostra posizione geografica, possiamo fare da raccordo tra le nazioni che vi si affacciano.

Bisogna partire immediatamente con l’aumento delle aree marine protette, che al momento rappresentano per l’Italia il 13,4%, con solo lo 0,01% realmente salvaguardato. È chiaro che il 30% previsto per l’obiettivo del 2030 è assai lontano. Inoltre, oltre ad aumentare la superficie bisogna mutare la dicitura “aree marine protette” in “parchi marini”, cosa che servirebbe a dare loro uno status equivalente ai parchi terrestri. Non è cosa da poco, perché al momento è come se fossero di serie B, con meno finanziamenti e poteri limitati dei loro direttori.»